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L'angolo delle....parole

Ultimo Aggiornamento: 26/09/2005 09:47
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Monsterista implume
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26/05/2005 20:44
 
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Re:
Scritto da: =simosimo= 26/05/2005 19.03
---------------------------
> LA VITA E' COME UNA CORSA IN MOTOCICLETTA..
>
> NESSUNO SA QUANTA BENZINA IL DESTINO HA MESSO
> NEL NOSTRO SERBATOIO....
>
> C'E' CHI NASCE CON IL PIENO...
> E CHI.. SENZA SAPERLO VIENE AL MONDO GIA' IN RISERVA..
>
> MA CHE TU ABBIA IL PIENO..
> O POCHE GOCCE DI BENZINA....
>
> NON IMPORTA!!..
> QUELLO CHE CONTA..
> E' ANDARE AL MASSIMO FINO ALL'ULTIMA GOCCIA
> DI BENZINA......
>
>


Bella bella bella si si[SM=x35595] [SM=x35595]
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27/05/2005 14:34
 
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ESSERE IN TE

VORREI PERDERMI NELL'UNIVERSO DEI TUOI SENTIMENTI
ED ESSERE IL TUO UNICO SOGNO DI OGNI NOTTE A VENIRE...

E POI ANCORA VIVERE NEI TUOI PENSIERI
FINCHE NON SPUNTI L'ALBA DI UN NUOVO GIORNO.

piegopoco

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06/06/2005 10:22
 
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varie sono le occasioni e i contenuti della vicenda amorosa:ma ,messe l'una accanto
all'altra,disegnano,pur nella disparita' di luoghi e date,
un unica avventura sentimentale,fatta di attrazione e di conquista,di seduzione e di ebrezza,di sospetto,malinconia,nostalgia,abbandono,separazione.
E' la storia,diversa e sempre eguale,dell'amore
ecco perche' può dirsi la nostra storia:in essa ci riconosciamo,la riviviamo attraverso la
lettura,
la paragoniamo a quella che proprio in questi istanti,stiamo vivendo


GUIDO DAVICO BONINO
piegopoco

[Modificato da miciamao 06/06/2005 10.22]

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08/06/2005 11:47
 
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AVVOLTE CI SONO MOMENTI IN CUI IL PRESENTE
E' UN LUOGO INOSPITALE
ED IL FUTURO SEMBRA NON DOVER ESISTERE.
NO NON PER QUESTO DEVI BUTTARTI GIU
PORTA IL TUO ESSERE AL DI SOPRA DI OGNI MALE.
STACCA LA SPINA E PENSA AI TUOI SOGNI
COSI TORNERAI NEL PRESENTE
E FANTASTICHERAI DI NUOVO IL TUO FUTURO


PIEGOPOCO

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08/06/2005 12:25
 
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maaaaaaaaaa
piego poco fa il poeta?????????????????
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08/06/2005 12:39
 
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La domanda giusta è ... Micia ... dì la verità che c'hai una tresca con piegopoco [SM=x35577]
Ottima scelta [SM=x35662]


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08/06/2005 21:18
 
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Re:
Scritto da: FaTeReLLa 08/06/2005 12.39
---------------------------
> La domanda giusta è ... Micia ... dì la verità
> che c'hai una tresca con piegopoco [SM=x35577]
> Ottima scelta [SM=x35662]
>
>
>
---------------------------
care donzelle[SM=x35648] ....piegopoco è gran poeta[SM=x35595] ...ma tranquille nessuna tresca[SM=x35629] ....tutti sanno ke ho il mio ben amato nippomicio[SM=x35649] [SM=x35650] ..... solo ke a piego poco piace molto scrivere ed essendo io la fautrice di questo post ha ben pensato d mandare a me le poesie visto ke non puo' postare essendo un hometto!
cmq sia fate se vuoi metto una buona parola per te[SM=x35654] [SM=x35582] [SM=x35577]
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09/06/2005 16:12
 
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Re: Re:
Scritto da: miciamao 08/06/2005 21.18
---------------------------
> cmq sia fate se vuoi metto una buona parola per
> te[SM=x35654] [SM=x35582] [SM=x35577]
---------------------------

Eheheh grazie cara Micia [SM=x35577]
Baci
Marty
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Smarmittino
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11/06/2005 21:15
 
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Piegopoco? eccolo in versione ballerino [SM=x35577]
VIDEO
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11/06/2005 23:35
 
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Yeppa che spettacolo [SM=x35577]
Un uomo un mito [SM=x35577]


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Smarmittino
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12/06/2005 22:31
 
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Ricordati di me quando i tuoi occhi si apriranno al sole,
quando gli abiti sfioreranno la tua pelle,
quando il primo vento accarezzerà il tuo viso,
quando i tuoi piedi cammineranno sulla strada...
o quando le tue mani ne stringeranno altre,
quando i tuoi occhi ne incroceranno altri,
quando fumerai la tua sigaretta
o da dietro i vetri guarderai la pioggia che cade...
Ricordati di me quando giunta la sera i tuoi occhi si chiuderanno: lascia che il tuo ultimo pensiero sia per me...
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16/06/2005 19:17
 
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e un altro ragazzo c delizia cn le sue parole..bravo!
"Per raro che sia vero Amore, è meno raro della vera Amicizia...."
by mrcanoa
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16/06/2005 23:17
 
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Re: e un altro ragazzo c delizia cn le sue parole..bravo!
Scritto da: miciamao 16/06/2005 19.17
---------------------------
> "Per raro che sia vero Amore, è meno raro della
> vera Amicizia...."
> by mrcano
>
---------------------------

E' una massima di La Rochefoucauld ... ho un bellissimo libro a casa con tutte le sue massime ... uno spettacolo ... appena ho un pochino ti tempo vi posto qualcosa [SM=x35577]

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17/06/2005 14:10
 
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"La bellezza stà negli occhi di chi ti guarda...."....

mrcanoa


vai fate aspettiamo presto anke da te perle d saggezza....[SM=x35595]
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17/06/2005 14:21
 
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Oooookkkkeeeeeyyyy
Ok oggi mi sento esagerata [SM=x35577]
Per cui vi ho trovato questo [SM=x35577]
Penso che le massime di questo autore siano le più gettonate per sms e brevi messaggi d'effetto [SM=x35577]

Riflessioni o sentenze e massime morali di François de La Rochefoucauld

Traduzione della quinta edizione ( 1678 )
a cura di Giobatta Cattaneo

Le nostre virtù non sono, il più delle volte, che dei vizi travestiti. (ed. 4. 1675)

1. Quello che consideriamo virtù spesso non è che un assemblaggio di diverse azioni e di diversi interessi, che la fortuna o il nostro genio sanno arrangiare; e non è sempre per valore o per castità che gli uomini sono valorosi e le donne caste. (ed. 1. 1665)

2. L'amor proprio è il più grande di tutti gli adulatori. (ed. 1. 1665)

3. Per quante scoperte si siano fatte nel paese dell'amor proprio, restano ancora molte terre sconosciute. (ed. 1. 1665)

4. L'amor proprio è più astuto del più astuto degli uomini. (ed. 1. 1665)

5. La durata delle nostre passioni non dipende da noi più della durata della nostra vita. (ed. 1. 1665)

6. La passione fa sovente un folle del più astuto degli uomini e rende sovente il più stupido astuto. (ed. 1. 1665)

7. Queste grandi ed eclatanti azioni che abbagliano gli occhi sono rappresentate dai politici come effetto di grandi disegni, mentre sono d'ordinario gli effetti degli umori e delle passioni. Così la guerra fra Augusto e Antonio, che viene attribuita all'ambizione che essi avevano di rendersi padroni del mondo, probabilmente non era che un effetto della gelosia. (ed. 1. 1665)

8. Le passioni sono i soli oratori che persuadono sempre. Esse sono come un'arte della natura le cui regole sono infallibili; e l'uomo più semplice che ha delle passioni persuade meglio del più eloquente che non ne ha. (ed. 1. 1665)

9. Le passioni hanno un'ingiustizia e un proprio interesse che fa si che sia pericoloso seguirle, e che se ne debba diffidare comunque anche se esse appaiono le più ragionevoli. (ed. 1. 1665)

10. Vi è nel cuore umano una generazione perpetua di passioni, in modo che la rovina di una è quasi sempre lo stabilirsi di un'altra. (ed. 1. 1665)

11. Le passioni generano spesso le passioni che sono a loro contrarie. L'avarizia produce qualche volta la prodigalità, e la prodigalità l'avarizia: si è spesso irremovibili per debolezza e audaci per timidezza. (ed. 1. 1665)

12. Qualsiasi cura si prenda di coprire le proprie passioni con delle apparenze di pietà e d'onore, esse appaiono comunque attraverso questi veli. (ed. 1. 1665)

13. Il nostro amor proprio soffre con più impazienza la condanna dei nostri gusti che delle nostre opinioni. (ed. 2. 1666)

14. Gli uomini non sono solamente soggetti a perdere il ricordo dei benefici e delle ingiurie: essi odiano lo stesso quelli che li hanno obbligati, e cessano di odiare quelli che li hanno oltraggiati. L'applicazione a ricompensare il bene, ed a vendicarsi del male loro sembra una servitù alla quale hanno pena di sottomettersi. (ed. 1. 1665)

15. La clemenza dei principi spesso non è che una politica per guadagnarsi l'affetto dei popoli. (ed. 1. 1665)

16. Questa clemenza di cui si fa una virtù si pratica un pò per vanità, qualche volta per debolezza, spesso per paura, e quasi sempre per tutte e queste cose tre insieme. (ed. 1. 1665)

17. La moderazione delle persone felici viene dalla calma che la buona fortuna da al loro umore. (ed. 1. 1665)

18. La moderazione è una paura di cadere nell'invidia e nel disprezzo che meritano quelli che si inebriano della loro felicità; è una vana ostentazione della forza del nostro spirito; e infine la moderazione degli uomini nel suo grado più alto è un desiderio di sembrare superiori alla propria fortuna. (ed. 1. 1665)

19. Abbiamo tutti abbastanza forza per sopportare il male altrui. (ed. 1. 1665)

20. La fermezza d'animo dei saggi non è che l'arte di chiudere la loro agitazione nel cuore. (ed. 1. 1665)

21. Quelli che sono condannati al supplizio affettano qualche volta una fermezza d'animo e un disprezzo della morte che non è in effetti che la paura di guardarla. Di modo che si può dire che questa costanza e questo disprezzo sono per il loro spirito quello che la benda è per i loro occhi. (ed. 1. 1665)

22. La filosofia trionfa con facilità dei mali passati e dei mali futuri. Ma i mali presenti trionfano di lei. (ed. 1. 1665)

23. Poche persone conoscono la morte. Non la si soffre ordinariamente per decisione, ma per stupidità e per costume; e la maggior parte degli uomini muoiono perché non possono impedirsi di morire. (ed. 1. 1665)

24. Quando i grandi uomini si lasciano abbattere dal prolungarsi degli infortuni fanno vedere che essi non erano sostenuti che dalla forza della loro ambizione, e non da quella della loro anima, e che, se non per la maggiore vanità, gli eroi sono fatti come gli altri uomini. (ed. 1. 1665)

25. Ci vogliono maggiori virtù per sostenere la buona fortuna come la cattiva. (ed. 1. 1665)

26. Il sole e la morte non si possono fissare. (ed. 1. 1665)

27. Ci si vanta spesso delle passioni anche le più criminali; ma l'invidia è una passione timida e vergognosa che non si osa mai confessare. (ed. 1. 1665)

28. La gelosia è in qualche modo giusta e ragionevole, poiché non tende che a conservare un bene che ci appartiene, o che crediamo che ci appartenga; come l'invidia è un furore che non può soffrire il bene degli altri. (ed. 1. 1665)

29. Il male che facciamo non ci attira tante persecuzioni e tanto odio quanto le nostre buone qualità. (ed. 1. 1665)

30. Noi abbiamo più forza che volontà; ed è sovente per scusarci a noi stessi che noi ci immaginiamo che le cose sono impossibili. (ed. 1. 1665)

31. Se noi non avessimo dei difetti, non ci prenderemmo tanto piacere scoprirne negli altri. (ed. 1. 1665)

32. La gelosia si nutre nei dubbi, e diviene furore, o finisce, quando si passi dal dubbio alla certezza. (ed. 1. 1665)

33. L'orgoglio si risarcisce sempre è non perde nulla allorquando rinuncia alla vanità. (ed. 1. 1665)

34. Se non avessimo orgoglio, non ci lamenteremmo di quello degli altri. (ed. 1. 1665)

35. L'orgoglio è uguale in tutti gli uomini, e non c'è di differenza che il modo e la maniera di mostrarlo. (ed. 1. 1665)

36. Sembra che la natura, che ha così saggiamente disposto gli organi del nostro corpo per renderci felici, ci abbia anche dato l'orgoglio per risparmiarci il dolore di conoscere le nostre imperfezioni. (ed. 1. 1665)

37. L'orgoglio ha maggior parte della bontà nei rimproveri che noi facciamo a coloro che commettono degli sbagli; e non li riprendiamo tanto per correggerli quanto per persuaderli che noi ne siamo esenti. (ed. 1. 1665)

38. Noi promettiamo secondo le nostre speranze, e manteniamo secondo i nostri timori. (ed. 1. 1665)

39. L'interesse parla ogni sorta di lingue, e gioca ogni sorta di parte, anche quella del disinteresse. (ed. 1. 1665)

40. L'interesse che acceca gli uni è la luce degli altri. (ed. 1. 1665)

41. Quelli che si applicano troppo alle piccole cose diventano ordinariamente incapaci delle grandi. (ed. 1. 1665)

42. Noi non abbiamo abbastanza forza per seguire tutta la nostra ragione. (ed. 1. 1665)

43. L'uomo crede spesso di condursi quando invece è condotto; e mentre con lo spirito tende da una parte, il suo cuore lo sospinge insensibilmente da un'altra. (ed. 1. 1665)

44. La forza e la debolezza dello spirito sono mal nominate; esse non sono in effetti che la buona o la cattiva disposizione degli organi del corpo. (ed. 1. 1665)

45. Il capriccio del nostro umore è ancora più bizzarro di quello della fortuna. (ed. 1. 1665)

46. L'attaccamento o l'indifferenza che i filosofi avevano per la loro vita non era che una particolarità del loro amor proprio, di cui non si deve discutere più che dei gusti del palato o della scelta dei colori. (ed. 1. 1665)

47. Il nostro umore assegna il prezzo a tutto quello che viene dalla fortuna. (ed. 2. 1666)

48. La felicità è nel gusto e non nelle cose; ed è nell'avere ciò che si ama che si è felici e non nell'avere ciò che gli altri trovano desiderabile. (ed. 1. 1665)

49. Non si è mai così felici né così infelici come si crede. (ed. 1. 1665)

50. Quelli che credono di avere delle capacità si fanno un onore di essere sventurati, per dimostrare agli altri ed a se stessi di essere esposti alla sorte.

51. Nulla deve diminuire la stima che abbiamo di noi stessi più che vedere che disapproviamo oggi quello che approvavamo ieri.

52. Per quanta differenza appaia tra le fortune degli uomini, c'è nondimeno una certa compensazione dei beni e dei mali che li pareggia.

53. Per quanti doni elargisca la natura, non è essa sola, ma la fortuna con lei che fa gli eroi. (ed. 1. 1665)

54. Il disprezzo delle ricchezze era nei filosofi un desiderio nascosto di vendicare il loro merito dall'ingiustizia della sorte disprezzando quegli stessi beni di cui essa li privava; era un mezzo per garantirsi dall'avvilimento della povertà; era un cammino deviato per raggiungere quella considerazione che essi non potevano ottenere attraverso le ricchezze. (ed. 1. 1665)

55. L'odio per i favoriti non è altro che l'amore per il favore. Il dispetto di non possederlo si consola e si addolcisce col disprezzo che si dimostra per coloro che ne godono; e noi rifiutiamo loro i nostri omaggi, non potendo togliere loro ciò che glieli attira da tutti. (ed. 1. 1665)

56. Per arrivare farsi una buona posizione nel mondo, si fa tutto quello che si può per far credere di averla già. (ed. 1. 1665)

57. Benché gli uomini si vantino delle loro grandi imprese, esse spesso non sono l'effetto di un grande disegno, ma del caso. (ed. 1. 1665)

58. Sembra che le nostre azioni abbiano delle stelle fortunate o sfortunate da cui devono in gran parte la lode o il biasimo che ricevono. (ed. 1. 1665)

59. Non c'è avvenimento così disgraziato da cui le persone astute non possano avere qualche vantaggio, né avvenimento cos' fortunato che gli imprudenti non possano rivolgere a loro danno. (ed. 1. 1665)

60. La fortuna va tutta a vantaggio di coloro che favorisce. (ed. 1. 1665)

61. La felicità o l'infelicità degli uomini non dipende meno dal loro umore che dalla fortuna. (ed. 1. 1665)

62. La sincerità è una apertura del cuore. La si trova molto di rado; e quello che si vede d'ordinario non è che una fine dissimulazione per attirare le confidenze degli altri. (ed. 1. 1665)

63. L'avversione per la menzogna è spesso una impercettibile ambizione di renderci testimoni attendibili e di attirare sulle nostre parole un rispetto religioso. (ed. 1. 1665)

64. La verità non fa tanto bene nel mondo quanto le sue apparenze vi fanno di male. (ed. 1. 1665)

65. Non ci sono elogi sufficienti per la prudenza. Sebbene essa non saprebbe metterci al riparo dal minino accidente. (ed. 1. 1665)

66. Un uomo abile deve regolare l'importanza dei propri interessi e ricondurli ciascuno al suo ordine. La nostra avidità spesso ci fa correre dietro tante cose, per desiderare troppo le cose meno importanti si fallisce quelle degne di considerazione. (ed. 1. 1665)

67. La grazia è per il corpo quello che per lo spirito è il buon senso. (ed. 2. 1666)

68. E' difficile definire l'amore.Quello che se ne può dire è che nell'anima è un desiderio di dominare, nello spirito è una simpatia, e nel corpo non è che un desiderio nascosto e delicato di possedere quello che si ama dopo molti misteri. (ed. 1. 1665)

69. Se c'è un amore puro ed esente da misture con altre passioni, questo è quello nascosto al fondo del nostro cuore, e che noi stessi ignoriamo. (ed. 1. 1665)

70. Non c'è travestimento che possa alla lunga nascondere l'amore quando c'è, né fingerlo quando non c'è. (ed. 1. 1665)

71. Non ci sono molte persone che non si vergognino d'essersi amate quando non si amano più. (ed. 5. 1678)

72. Se si giudica l'amore per la maggior parte dei suoi effetti, assomiglia di più all'odio che all'amicizia. (ed. 1. 1665)

73. Si possono trovare delle donne che non hanno mai avuto avventure galanti; ma è raro trovarne che ne abbiano avuta una sola. (ed. 1. 1665)

74. Non c'è che una sola specie d'amore, ma ce ne sono mille differenti copie. (ed. 1. 1665)

75. L'amore così come il fuoco non può sussistere senza un movimento continuo; e cessa di vivere da quando cessa di sperare o di temere. (ed. 1. 1665)

76. Del vero amore come dell'apparizione degli spiriti ne parlano tutti, ma pochi ne hanno visti. (ed. 1. 1665)

77. L'amore presta il suo nome ad un numero infinito di commerci che gli si attribuiscono, e dove non ha maggior parte che il Doge in ciò che si fa a Venezia. (ed. 1. 1665)

78. L'amore per la giustizia non è nella maggioranza degli uomini che il timore di dover soffrire l'ingiustizia. (ed. 1. 1665)

79. Il silenzio è il partito più sicuro per chi diffida di se stesso. (ed. 1. 1665)

80. Quello che ci rende così volubili nelle nostre amicizie , è che è difficile conoscere le qualità dell'anima, e facile conoscere quelle dello spirito. (ed. 1. 1665)

81. Noi non possiamo amare nulla se non in rapporto a noi stessi, e non facciamo che seguire il nostro gusto e il nostro piacere quando preferiamo i nostri amici a noi stessi; nondimeno è solo per questa preferenza che ci può essere vera e perfetta amicizia. (ed. 1. 1665)

82. La riconciliazione con i nostri nemici non è che un desiderio di rendere la nostra condizione migliore, una stanchezza nel contendere, e il timore di qualche cattivo evento. (ed. 1. 1665)

83. Quello che gli uomini hanno chiamato amicizia non è che una società, che una associazione di interessi reciproci, e che uno scambio di buoni uffici; non altro che un commercio in cui l'amor proprio si propone sempre di guadagnare qualcosa. (ed. 1. 1665)

84. È più vergognoso diffidare dei propri amici che esserne ingannati. (ed. 2. 1666)

85. Noi ci persuadiamo spesso d'amare le persone più potenti di noi; e nondimeno è soltanto l'interesse che produce la nostra amicizia. Noi non ci diamo a esse per il bene che vogliamo fare loro, ma per quello che ne vogliamo ricevere. (ed. 1. 1665)

86. La nostra diffidenza giustifica l'inganno altrui. (ed. 2. 1666)

87. Gli uomini non vivrebbero a lungo in società se non fossero il minchione uno dell'altro. (ed. 5. 1678)

88. L'amor proprio aumenta o diminuisce le buone qualità dei nostri amici in proporzione della soddisfazione che abbiamo da essi; e giudichiamo del loro merito per il modo con cui essi si comportano con noi. (ed. 1. 1665)

89. Tutti si lamentano della propria memoria, nessuno si lamenta del proprio giudizio. (ed. 2. 1666)

90. Riusciamo più spesso a piacere, nel commercio della vita, per i nostri difetti che per le nostre buone qualità. (ed. 5. 1678)

91. La più grande ambizione non ne ha la minima apparenza quando si trovi nell'impossibilità assoluta di arrivare a ciò che aspira. (ed. 2. 1666)

92. Disingannare un uomo convinto del proprio merito è rendergli un pessimo servizio, come quello reso a quel folle d'Atene che credeva suoi tutti i vascelli che entravano nel porto. (ed. 2. 1666)

93. I vecchi amano dare dei buoni consigli, per consolarsi di non essere più in grado di dare dei cattivi esempi. (ed. 1. 1665)

94. I grandi nomi abbassano, invece di elevare, quelli che non li sanno sostenere. (ed. 2. 1666)

95. Il segno di un merito straordinario è vedere che quanti maggiormente l'invidiano sono costretti a lodarlo. (ed. 2. 1666)

96. Quell'uomo è ingrato, chi e meno colpevole della sua ingratitudine di colui che gli ha fatto del bene. (ed. 5. 1678)

97. Ci si è sbagliati quando si è creduto che lo spirito e il giudizio fossero due cose differenti. Il giudizio non è che la grandezza della luce dello spirito; questa luce penetra il fondo delle cose; nota in esse tutto ciò che vi è di notevole e percepisce quelle che sembrano impercettibili. Si deve pertanto convenire che è la potenza della luce dello spirito che produce tutti quegli effetti che vengono attribuiti al giudizio. (ed. 1. 1665)

98. Tutti vantano il proprio cuore e nessuno osa vantare il proprio spirito. (ed. 1. 1665)

99. La pulizia di spirito consiste nel pensare delle cose oneste e delicate. (ed. 1. 1665)

100. La galanteria di spirito e di dire delle cose gentili in modo gradevole. (ed. 1. 1665)

101. Accade spesso che delle cose si presentano più rifinite al nostro spirito come non le si potrebbe fare con molta arte. (ed. 1. 1665)

102. Lo spirito e sempre il minchione del cuore. (ed. 1. 1665)

103. Tutti coloro che conoscono il proprio spirito non conoscono il loro cuore. (ed. 1. 1665)

104. Gli uomini e gli affari hanno il loro punto di vista. Ve ne sono di quelli che bisogna vederli da vicino per ben giudicarli e altri di cui non si giudica mai così bene come quando ci si è allontanati. (ed. 1. 1665)

105. Non è ragionevole colui a cui il caso fa trovare la ragione, ma colui che la conosce, la discerne, la apprezza. (ed. 1. 1665)

106. Per conoscere bene le cose, bisogna conoscerne i dettagli; e siccome questi sono quasi infiniti, le nostre conoscenze sono sempre superficiali e imperfette. (ed. 1. 1665)

107. È una specie di civetteria far notare che non lo si fa mai. (ed. 2. 1666)

108. Lo spirito non saprebbe giocare a lungo la parte del cuore. (ed. 2. 1666)

109. La gioventù cambia di gusto per l'ardore del sangue, e la vecchiaia conserva i suoi per abitudine. (ed. 1. 1665)

110. Non si regala niente così liberalmente come i propri consigli. (ed. 1. 1665)

111. Più si ama un'amante, e più si è vicini ad odiarla. (ed. 2. 1666)

112. I difetti dello spirito aumentano invecchiando come quelli del viso. (ed. 2. 1666)

113. Ci sono dei buoni matrimoni, ma non ce ne sono di deliziosi. (ed. 2. 1666)

114. Non possiamo consolarci d'essere ingannati dai nemici, e traditi dagli amici, e siamo invece spesso soddisfatti d'esserlo da noi stessi. (ed. 1. 1665)

115. È altrettanto facile ingannare noi stessi senza accorgercene, quanto è difficile ingannare gli altri senza che se ne accorgano. (ed. 1. 1665)

116. Nulla di meno sincero della maniere di dare e chiedere consigli. Colui che li chiede sembra avere una rispettosa deferenza per le opinioni dell'amico, mentre non pensa invece che a fargli approvare le proprie, ed a renderlo garante della sua condotta. E colui che consiglia ripaga la fiducia dimostratagli con zelo ardente e disinteressato, mentre non cerca il più delle volte con i suoi consigli che il proprio interesse o la propria gloria. (ed. 1. 1665)

117. La più sottile astuzia è saper fingere bene di cadere nelle insidie che ci vengono tese, e non si è mai così facilmente ingannati come quando ci si impegna ad ingannare gli altri. (ed. 1. 1665)

118. L'intenzione di non ingannare mai ci espone ad essere spesso ingannati. (ed. 1. 1665)

119. Siamo così abituati a mascherarci agli altri che alla fine ci mascheriamo a noi stessi. (ed. 1. 1665)

120. Si tradisce più spesso per debolezza che per un proposito determinato di tradire. (ed. 1. 1665)

121. Spesso si fa del bene per poter impunemente fare del male. (ed. 1. 1665)

122. Se resistiamo alle nostre passioni è più per la loro debolezza che per la nostra forza. (ed. 2. 1666)

123. Non avremmo molto di che godere se non ci adulassimo mai. (ed. 2. 1666)

124. I più abili ostentano durante tutta la loro vita di condannare le furberie, per poi servirsene in qualche grande occasione, o per qualche importante interesse. (ed. 1. 1665)

125. L'uso abituale della furbizia è il segno di uno spirito limitato, e accade quasi sempre che chi se ne serve per coprirsi da un lato si scopre dall'altro. (ed. 1. 1665)

126. Le furberie e i tradimenti non derivano che da mancanza di abilità. (ed. 1. 1665)

127. Il vero mezzo per farsi ingannare, è di credersi più furbi degli altri. (ed. 1. 1665)

128. La troppa sottigliezza è una falsa finezza, e la vera finezza è una solida sottigliezza. (ed. 1. 1665)

129. Talvolta è sufficiente essere grossolani per non essere ingannati da un uomo abile. (ed. 1. 1665)

130. La debolezza è il solo difetto che non si possa correggere. (ed. 2. 1666)

131. Il minor difetto delle donne che si sono abbandonate a fare l'amore è fare l'amore. (ed. 2. 1666)

132. È è più facile essere saggi per gli altri che per se stessi. (ed. 1. 1665)

133. Le sole copie buone sono quelle che ci fanno vedere il ridicolo dei cattivi originali. (ed. 2. 1666)

134. Non si è mai tanto ridicoli per le qualità che si hanno quanto per quelle che si finge di avere. (ed. 1. 1665)

135. Si è qualche volta più differenti da se stessi che dagli altri. (ed. 1. 1665)

136. Ci sono persone che non si sarebbero mai innamorate se non avessero mai sentito parlare d'amore. (ed. 2. 1666)

137. Si parla poco quando la vanità non fa parlare. (ed. 1. 1665)

138. Si ama di più dire male di se stessi che non dirne nulla. (ed. 1. 1665)

139. Uno dei motivi per cui si trovano così poche persone che sembrano ragionevoli e piacevoli nel conversare, è che quasi tutti pensano piuttosto a quello ch'essi vogliono dire, che non a rispondere a tono a quel che loro viene detto. I più abili e i più compiacenti si accontentano di mostrare attenzione mentre si vede nei loro occhi e nel loro spirito un disinteresse per tutto quello che viene loro detto, e una gran fretta di ritornare a quello che volevano dire loro; invece di considerare che è un cattivo mezzo per piacere agli altri o per persuaderli, quello di cercare tanto di piacersi, e che ascoltare bene e rispondere bene è una delle maggiori perfezioni a cui l'uomo possa giungere nel conversare. (ed. 1. 1665)

140. Un uomo di spirito sarebbe spesso in imbarazzo senza la compagnia degli sciocchi. (ed. 1. 1665)

141. Ci vantiamo spesso di non annoiarci; e siamo così vanagloriosi che non vogliamo trovarci di cattiva compagnia. (ed. 1. 1665)

142. Se la caratteristica degli spiriti grandi è di far intendere con poche parole molte cose, gli spiriti piccoli al contrario hanno il dono di parlare molto e non dire nulla. (ed. 1. 1665)

143. È piuttosto per la stima dei nostri sentimenti che noi esageriamo le buone qualità degli altri, e non per la stima che abbiamo di loro; vogliamo attirarci delle lodi, mentre sembra che lodiamo gli altri. (ed. 1. 1665)

144. Noi non amiamo affatto lodare, e non lodiamo nessuno senza interesse. La lode è una adulazione scaltra, nascosta e raffinata, che soddisfa in modo diverso chi la dà e chi la riceve. L'uno la prende come una ricompensa del suo merito; l'altro la dà per far rilevare la sua equità e il suo discernimento. (ed. 1. 1665)

145. Noi scegliamo spesso delle lodi avvelenate che fanno vedere per contraccolpo in coloro che lodiamo quei difetti che non oseremmo scoprire in altro modo. (ed. 1. 1665)

146. Non si loda di solito che per essere lodati. (ed. 1. 1665)

147. Pochi sono abbastanza saggi da preferire il biasimo che giova alla lode che tradisce. (ed. 1. 1665)

148. Ci sono dei rimproveri che lodano e delle lodi che diffamano. (ed. 1. 1665)

149. Respingere le lodi è un desiderio d'essere lodati due volte. (ed. 1. 1665)

150. Il desiderio di meritarci le lodi che ci vengono fatte fortifica la nostra virtù; e quelle che ci fanno allo spirito, al valore e alla bellezza contribuiscono ad aumentarla. (ed. 1. 1665)


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151. È più difficile evitare d'esser governati che governare gli altri. (ed. 2. 1666)

152. Se non ci adulassimo noi stessi, l'adulazione degli altri non ci potrebbe nuocere. (ed. 1. 1665)

153. La natura dà le qualità, e la fortuna le mette in opera. (ed. 1. 1665)

154. La fortuna ci corregge di molti difetti di cui la ragione non saprebbe correggerci. (ed. 3. 1671)

155. Ci sono delle persone disgustose con dei meriti e delle persone piacenti con dei difetti. (ed. 1. 1665)

156. Ci sono persone in cui tutto il merito consiste nel dire e fare delle stupidaggini utilmente, e che si guasterebbero se cambiassero condotta. (ed. 1. 1665)

157. La gloria dei grandi uomini se deve sempre misurare sui mezzi di cui si sono serviti per conquistarla. (ed. 1. 1665)

158. L'adulazione è una falsa moneta e non ha corso che per la nostra vanità. (ed. 5. 1678)

159. Non è sufficiente avere grandi qualità; bisogna anche conoscerne l'economia. (ed. 1. 1665)

160. Per quanto eclatante sia una azione, non deve essere considerata grande se non quando è il risultato di un grande progetto. (ed. 1. 1665)

161. Ci deve essere una certa proporzione tra le azioni ed i progetti se si vuole ottenere tutti gli effetti che esse possono produrre. (ed. 1. 1665)

162. L'arte di saper mettere bene in opera mediocri qualità usurpa la stima e dà spesso maggior reputazione che non il vero merito. (ed. 1. 1665)

163. Vi è una quantità di modi di comportarsi che sembrano sciocchi, e di cui le ragioni nascoste sono invece molto solide e molto sagge. (ed. 1. 1665)

164. È più facile sembrare degni degli impieghi che non si hanno che di quelli che si esercitano. (ed. 1. 1665)

165. Il nostro merito ci attira la stima delle persone oneste, e la nostra buona stella quella del pubblico. (ed. 1. 1665)

166. Il mondo ricompensa più spesso le apparenze del merito del merito stesso. (ed. 1. 1665)

167. L'avarizia è più contraria all'economia della prodigalità. (ed. 2. 1666)

168. La speranza, per quanto ingannatrice sia, serve almeno a condurci al termine della vita per una via gradevole. (ed. 1. 1665)

169. Mentre sono la pigrizia e la timidezza a trattenerci nei nostri doveri, la nostra virtù ne ha sovente tutto l'onore. (ed. 1. 1665)

170. È difficile giudicare se un procedere schietto, sincero e onesto sia un effetto di probità o di abilità. (ed. 1. 1665)

171. Le virtù si perdono nell'interesse come i fiumi si perdono nel mare. (ed. 1. 1665)

172. Se si esaminano bene i diversi effetti della noia, si troverà che essa ci fa mancare più spesso ai nostri doveri che non l'interesse. (ed. 5. 1678)

173. Ci sono varie specie di curiosità: una interessata che ci spinge a desiderare di conoscere quanto ci può essere utile, l'altra d'orgoglio, che deriva dal desiderio di sapere quello che gli altri ignorano. (ed. 1. 1665)

174. Val meglio impiegare il nostro spirito a sopportare le disgrazie che ci capitano che a prevedere quelle che ci possono capitare. (ed. 1. 1665)

175. La costanza in amore è una incostanza perenne, che fa si che il nostro cuore si appiglia successivamente a tutte le qualità della persona amata, dando ora la preferenza ad una ora all'altra; dimodoché questa costanza non è che una incostanza trattenuta e rinchiusa nel medesimo soggetto. (ed. 1. 1665)

176. Ci sono due specie di costanza in amore: una viene dal continuo scoprire nella persona amata nuovi motivi d'amore; l'altra viene dal fatto che ci si fa un vanto della propria costanza. (ed. 1. 1665)

177. La perseveranza non merita né biasimo né lode, perché non è altro la durata dei gusti e dei sentimenti, cose che non possiamo né darci né toglierci. (ed. 1. 1665)

178. Ciò che ci fa amare le nuove conoscenze non è tanto la stanchezza che possiamo avere delle vecchie o il piacere di cambiare, quanto il dispetto di non essere abbastanza ammirati da quelli che ci conoscono troppo e la speranza di esserlo di più da quelli che non ci conoscono molto. (ed. 1. 1665)

179. Noi ci lamentiamo talvolta leggermente dei nostri amici per giustificare anticipatamente la nostra leggerezza. (ed. 1. 1665)

180. Il nostro pentimento non viene tanto dal rammarico del male che abbiamo fatto quanto dal timore di quello che ce ne può derivare. (ed. 1. 1665)

181. Vi è un'incostanza che deriva dalla leggerezza dello spirito o dalla sua debolezza, che fa sì che accogliamo tutte le opinioni altrui, e ce n'è un'altra, più scusabile, che deriva dal disgusto delle cose.

182. I vizi entrano nella composizione delle virtù come i veleni entrano nella composizione dei farmaci. La prudenza li assembla e li tempera, e se ne serve utilmente contro i mali della vita. (ed. 1. 1665)

183. Bisogna convenire a onore della virtù che i maggiori guai degli uomini sono quelli in cui li trascinano i loro delitti. (ed. 5. 1678)

184. Noi confessiamo i nostri difetti per riparare con la nostra sincerità il torto che quelli ci fanno nello spirito degli altri. (ed. 1. 1665)

185. Vi sono degli eroi nel male come nel bene. (ed. 1. 1665)

186. Non si disprezzano tutti quelli che hanno dei vizi; ma si disprezzano tutti quelli che non hanno nessuna virtù. (ed. 1. 1665)

187. Il nome della virtù serve all'interesse personale non meno utilmente che i vizi. (ed. 1. 1665)

188. La salute dell'anima non è più al sicuro di quella del corpo; e per quanto uno sembri lontano dalle passioni, non è perciò meno in pericolo di esserne travolto che di ammalarsi quando sta bene. (ed. 1. 1665)

189. Sembra che la natura abbia prescritto a ogni uomo fin dalla nascita dei limiti per le virtù e per i vizi. (ed. 1. 1665)

190. Non appartiene che hai grandi uomini d'avere grandi difetti. (ed. 1. 1665)

191. Si può dire che i vizi aspettano nel corso della vita come degli osti presso cui bisogna successivamente alloggiare; e io dubito che l'esperienza ce li farebbe evitare se ci fosse permesso di fare due volte lo stesso cammino. (ed. 1. 1665)

192. Quando i vizi ci lasciano, noi ci lusinghiamo di credere di essere noi a lasciarli. (ed. 1. 1665)

193. Ci sono delle ricadute nelle malattie dell'anima, come in quelle del corpo. Ciò che noi prendiamo per guarigione non è il più delle volte che una tregua o un cambiamento del male. (ed. 1. 1665)

194. I difetti dell'anima sono come le ferite del corpo; per quanta cura si abbia nel guarirle, la cicatrice rimane sempre, e in ogni momento sono in pericolo di riaprirsi. (ed. 1. 1665)

195. Ciò che ci impedisce sovente di abbandonarci ad un solo vizio è che ne abbiamo parecchi. (ed. 1. 1665)

196. Dimentichiamo facilmente le nostre colpe quando non sono note che a noi stessi. (ed. 1. 1665)

197. Vi sono persone di cui non si può mai credere niente di male senza averlo visto; ma non ve ne sono in cui ci si debba stupire vedendolo. (ed. 1. 1665)

198. Noi esaltiamo la gloria degli uni per abbassare quella degli altri; e qualche volta si loderebbe meno Monsignore il Principe e Monsignore di Turenne se non si volesse biasimarli entrambi. (ed. 1. 1665)

199. Il desiderio di sembrare abili impedisce sovente di diventarlo. (ed. 1. 1665)

200. La virtù non andrebbe così lontano se la vanità non le tenesse compagnia. (ed. 1. 1665)

201. Chi crede di poter trovare in se stesso tanto da far a meno di tutti si inganna molto; ma chi crede che non si possa fare a meno di lui si inganna ancora di più. (ed. 1. 1665)

202. I falsi galantuomini sono quelli che mascherano i loro difetti agli altri ed a se stessi. I veri galantuomini sono quelli che li conoscono bene e li confessano. (ed. 1. 1665)

203. Il vero gentiluomo non si vanta mai di nulla. (ed. 1. 1665)

204. La castigatezza delle donne è un ornamento che esse aggiungono alla loro bellezza. (ed. 1. 1665)

205. L'onesta delle donne è spesso l'amore della propria reputazione e della propria tranquillità. (ed. 1. 1665)

206. Dimostra di essere davvero un galantuomo chi vuole essere sempre esposto alla vista dei galantuomini. (ed. 1. 1665)

207. La follia ci segue in tutte le stagioni della vita. Se qualcuno sembra saggio, è semplicemente perché le sue follie sono proporzionate alla sua età e alla sua condizione sociale. (ed. 1. 1665)

208. Ci sono delle persone stupide che si conoscono e che adoperano abilmente la loro stupidità. (ed. 1. 1665)

209. Chi vive senza follia non è così saggio come si crede. (ed. 1. 1665)

210. Invecchiando si diventa più folli e più savi. (ed. 1. 1665)

211. Vi sono delle persone che assomigliano alle canzoni, che non si cantano che una sola stagione. (ed. 1. 1665)

212. La maggior parte delle persone non giudicano gli uomini che in base al successo che hanno o alla loro condizione sociale. (ed. 1. 1665)

213. L'amore della gloria, il timore della vergogna, il proposito di fare fortuna, il desiderio di rendere la nostra vita comoda e gradevole, e l'invidia di abbassare gli altri, sono sovente le cause di quel coraggio così celebrato fra gli uomini. (ed. 1. 1665)

214. Il coraggio è per i semplici soldati un mestiere pericoloso al quale si sono dati per guadagnarsi la vita. (ed. 1. 1665)

215. Il coraggio assoluto e la codardia completa sono due estremi a cui si arriva raramente. Lo spazio in mezzo è ampio e contiene tutte le altre varietà di coraggio; non vi è tra queste varietà meno differenze che tra i visi ed i caratteri. Ci sono degli uomini che si espongono volentieri all'inizio di una azione, e che si rilassano e si scoraggiano facilmente per la sua durata. Ve ne sono che si accontentano quando hanno soddisfatto all'onore del mondo, e che fanno ben poco di più. Se ne trovano di quelli che non sono sempre ugualmente padroni della propria paura. Altri si lasciano qualche volta travolgere dal panico. Altri vanno alla carica perché non osano stare fermi ai loro posti. Ve ne sono di quelli cui l'abitudine ai pericoli minori rafforza il coraggio e li prepara a esporsi a pericoli maggiori. Altri ancora sono valorosi ai colpi della spada e temono i colpi del moschetto; altri sono fermi ai colpi di moschetto e hanno paura di battersi a colpi di spada. Tutte queste varie specie di coraggio si accordano in ciò che, di notte, aumentando la paura, e confondendosi le buone e le cattive azioni, tutti si prendono la libertà di risparmiarsi. C'è anche un altro modo più generale di non esporsi: non s'è mai visto, infatti, alcun uomo che facesse tutto quello che sarebbe stato capace di fare in una data occasione, quando fosse stato sicuro di uscirne salvo. Dimodoché è chiaro che la paura toglie qualche cosa al coraggio. (ed. 1. 1665)

216. Il vero coraggio consiste nel fare senza testimoni ciò che si sarebbe capaci di fare davanti a tutti. (ed. 1. 1665)

217. L'intrepidità è una forza straordinaria dell'anima che la eveva al di sopra dei turbamenti, dei disordini e delle emozioni che potrebbero nascere dalla vista di grandi pericoli; ed è per questa forza che gli eroi si mantengono in uno stato tranquillo, e conservano il libero uso della ragione nei più imprevedibili e terribili dei casi. (ed. 1. 1665)

218. L'ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù. (ed. 2. 1666)

219. In guerra la maggior parte degli uomini si espongono quanto basta per salvare il loro onore. Ma pochi acconsentono ad esporsi quanto è necessario per far riuscire l'impresa per la quale si espongono. (ed. 1. 1665)

220. La vanità, la vergogna, e soprattutto il temperamento fanno sovente il valore degli uomini e la virtù delle donne. (ed. 1. 1665)

221. Non si vuole perdere la vita, e si vuole acquistare la gloria; questo fa si che i coraggiosi abbiano più destrezza e spirito per evitare la morte che gli uomini d'affari non abbiano a conservare i loro beni. (ed. 1. 1665)

222. Vi sono poche persone che nel primo declinare degli anni non facciano vedere da quale parte il loro corpo e il loro spirito dovranno venir meno. (ed. 2. 1666)

223. È della riconoscenza come della buona fede dei mercanti: esse reggono il commercio; e noi non paghiamo perché è giusto liberarsi dai debiti, ma per trovare più facilmente delle persone che ci facciano dei prestiti. (ed. 1. 1665)

224. Non tutti coloro che si sdebitano dei doveri della riconoscenza possono per questo vantarsi di essere riconoscenti. (ed. 1. 1665)

225. Ciò che compromette l'esito di tutti i nostri conti intorno alla riconoscenza che gli altri ci devono per favori che abbiamo reso loro, è che l'orgoglio di chi dà e l'orgoglio di chi riceve non possono accordarsi sul prezzo del beneficio. (ed. 1. 1665)

226. La troppa fretta a sdebitarsi da una obbligazione è già una specie di ingratitudine. (ed. 1. 1665)

227. Le persone fortunate non si correggono mai; esse credono sempre di avere ragione quando la fortuna sostiene la loro cattiva condotta. (ed. 1. 1665)

228. L'orgoglio non vuole essere in debito e l'amor proprio non vuol pagare. (ed. 1. 1665)

229. Il bene che abbiamo ricevuto da qualcuno esige che rispettiamo il male che ci fa. (ed. 1. 1665)

230. Nulla è così contagioso come l'esempio, e noi non facciamo mai nulla di notevole nel bene e nel male che non produca delle azioni simili. Imitiamo le buone azioni per emulazione e le cattive per la malignità della nostra natura che la vergogna tiene prigioniera, e che l'esempio mette in libertà. (ed. 1. 1665)

231. È una grande follia voler essere saggio da solo. (ed. 1. 1665)

232. Qualsiasi pretesto si voglia dare alle nostre afflizioni, esse il più delle volte sono causate dall'interesse e dalla vanità. (ed. 1. 1665)

233. Vi sono nelle afflizioni diverse specie d'ipocrisia. Per una sotto pretesto di piangere la perdita di una persona cara, noi piangiamo su noi stessi; rimpiangiamo la buona opinione che quella aveva di noi, il danno patito dai nostri interessi, dal nostro piacere, dalla nostra considerazione. Così i morti hanno l'onore delle lacrime, che scorrono viceversa soltanto per i vivi. Dico che è una specie d'ipocrisia, perché in questa sorta di afflizioni noi inganniamo noi stessi. Vi è poi un'altra ipocrisia assai meno innocente, che si riferisce però agli altri: è l'afflizione di certe persone che aspirano alla gloria di un bello e immortale dolore. Allorché il tempo, che consuma ogni cosa, ha fatto cessare il dolore vero che avevano,esse non cessano di ostinarsi nei pianti, nei lamenti e nei sospiri; assumono la maschera del personaggio lugubre e s'adoperano a far credere, con ogni loro atto, che il loro dispiacere non finirà che con la vita. Questa triste e faticosa vanità si trova di solito nelle donne ambiziose: vedendosi esse precluse dal loro sesso tutte le vie che conducono alla gloria, si sforzano di conseguire la celebrità con l'ostentare un'inconsolabile afflizione. Vi è ancora un'altra specie di lacrime che nascono da piccole sorgenti, scorrono e s'inaridiscono facilmente: si piange allora per acquistarsi reputazione d'anime tenere; si piange per essere commiserati; si piange per essere compianti; si piange infine per evitare la vergogna di non piangere. (ed. 1. 1665)

234. È più spesso per orgoglio e non per difetto di giudizio che ci si oppone con tanta cocciutaggine alle opinioni più universalmente seguite; si trovano i primi posti già occupati dal partito migliore, e non ne vogliamo sapere degli ultimi. (ed. 5. 1678)

235. Ci consoliamo facilmente delle disgrazie dei nostri amici quando servono a mettere in mostra la nostra tenerezza per loro. (ed. 1. 1665)

236. sembra che l'amor proprio sia lo zimbello della bontà, e che si dimentichi di se stesso quando noi lavoriamo a vantaggio degli altri. Viceversa è un prendere la via più sicura per arrivare ai propri fini; è imprestare ad usura sotto il pretesto di regalare; è insomma un guadagnarsi l'animo di tutti in un modo sottile e delicato. (ed. 1. 1665)

237. Nessuno merita di essere lodato per la sua bontà se non ha la forza di essere cattivo: ogni bontà non è il più delle volte che una pigrizia o un'impotenza della volontà. (ed. 1. 1665)

238. Non è così pericoloso fare del male alla maggior parte degli uomini come fare loro troppo bene. (ed. 1. 1665)

239. Niente lusinga di più il nostro orgoglio della confidenza dei grandi, perché noi la consideriamo come un effetto del nostro merito, senza considerare che che essa che essa viene il più delle volte dalla vanità e dalla incapacità di custodire i segreti. (ed. 1. 1665)

240. Si può dire della grazia disgiunta dalla bellezza che è una simmetria di cui non conosciamo le regole, una segreta corrispondenza dei lineamenti fra loro, e dei lineamenti con i colori e con l'aspetto della persona. (ed. 1. 1665)

241. La civetteria è il fondo dell'indole delle donne. Ma non tutte la mettono in pratica, poiché la civetteria di qualcuna è trattenuta dalla paura o dalla ragione. (ed. 1. 1665)

242. Si incomodano spesso gli altri quando si crede di non poterli incomodare. (ed. 1. 1665)

243. Poche cose sono impossibili per se stesse; e più che i mezzi ci manca l'applicazione per farle riuscire. (ed. 1. 1665)

244. La suprema abilità consiste nel conoscere il prezzo delle cose. (ed. 1. 1665)

245. È una grande abilità saper nascondere la propria abilità. (ed. 1. 1665)

246. Ciò che sembra generosità spesso non è che un'ambizione mascherata, che disdegna i piccoli interessi per volgersi ai più grandi. (ed. 1. 1665)

247. La fedeltà che si trova nella maggioranza degli uomini non è che una malizia dell'amor proprio per attirare l'altrui confidenza: È un mezzo per elevarci al di sopra degli altri e renderci depositari delle cose più importanti. (ed. 1. 1665)

248. La magnanimità disprezza tutto per avere tutto. (ed. 1. 1665)

249. Non vi è meno eloquenza nel tono della voce, negli occhi e nell'aspetto della persona, che nella scelta delle parole. (ed. 1. 1665)

250. La vera eloquenza consiste nel dire tutto quello che bisogna dire e nel non dire quello che non bisogna dire. (ed. 1. 1665)

251. Vi sono persone a cui i difetti donano, e altre che sono sgraziate con le loro buone qualità. (ed. 1. 1665)

252. È altrettanto comune veder cambiare i gusti quanto è straordinario veder cambiare le inclinazioni. (ed. 1. 1665)

253. L'interesse mette in opera ogni sorta di virtù e di vizi. (ed. 1. 1665)

254. L'umiltà sovente non è che una finta sottomissione, di cui ci si serve per sottomettere gli altri; è un artificio dell'orgoglio che si abbassa per innalzarsi; e benché si trasformi in mille modi, non è mai così ben mascherato e capace d'ingannare come quando si nasconde sotto le vesti dell'umiltà. (ed. 1. 1665)

255. Tutti i sentimenti hanno ciascuno un proprio loro tono di voce, dei gesti e dei visi che sono loro propri. E questo rapporto buono o cattivo, gradevole o sgradevole è ciò che fa che le persone piacciano o non piacciano. (ed. 1. 1665)

256. In tutte le professioni ogniuno assume un certo aspetto e certe maniere che lo facciano apparire quello che vuole essere creduto. Così si può dire che il mondo non è composto che di apparenze. (ed. 1. 1665)

257. La gravità è un mistero del corpo inventato per nascondere i difetti dello spirito. (ed. 1. 1665)

258. Il buon gusto viene più dal giudizio che dallo spirito. (ed. 5. 1678)

259. Il piacere dell'amore è amare; e si è più felici per la passione che abbiamo che per quella che provochiamo. (ed. 2. 1666)

260. L'urbanità è il desiderio di essere trattati in modo urbano, e di essere stimati gentili. (ed. 1. 1665)

261. L'educazione che si dà solitamente ai giovani è un secondo amor proprio che si va loro ispirando. (ed. 1. 1665)

262. Non c'è passione dove l'amore di se stessi regni così potente come nell'amore; siamo sempre più disposti a sacrificare la pace della persona che amiamo che a perdere la nostra. (ed. 1. 1665)

263. La cosiddetta liberalità non è il più delle volte che la vanità di dare, che noi amiamo ancora di più delle cose che doniamo. (ed. 1. 1665)

264. La pietà è spesso un sentimento dei nostri propri mali nei mali altrui; è un'accorta previdenza delle disgrazie che ci possono capitare; diamo soccorso agli altri per indurli a darne a noi in occasioni analoghe; e siffatti servigi che noi rendiamo sono, propriamente parlando, un beneficio che noi anticipiamo a noi stessi. (ed. 1. 1665)

265. La cocciutaggine è effetto della ristrettezza dello spirito; noi non crediamo facilmente a ciò che è al di là di quanto vediamo. (ed. 1. 1665)

266. Ci si inganna credendo che solo le passioni violente come l'ambizione e l'amore possano trionfare sulle altre. La pigrizia, pur così molle, è assai spesso la dominatrice: essa spadroneggia su tutti i proponimenti e su tutte le azioni della vita; essa distrugge e consuma insensibilmente le passioni e le virtù. (ed. 1. 1665)

267. La prontezza a credere il male senza averlo abbastanza esaminato è effetto d'orgoglio e di pigrizia. Si vuole trovare dei colpevoli; e non vogliamo darci la pena di esaminare i crimini. (ed. 1. 1665)

268. Noi non ammettiamo giudici per i nostri più piccoli interessi, e poi accettiamo che la nostra reputazione e la nostra gloria dipendano dal giudizio degli uomini, i quali ci sono tutti contrari, o per gelosia, o per loro prevenzioni, o per scarsezza d'ingegno; ed è solo per indurli a darci un giudizio favorevole che rischiamo in tante maniere la nostra quiete e la nostra vita. (ed. 1. 1665)

269. Non c'è uomo così abile da riconoscere tutto il male che fa. (ed. 2. 1666)

270. L'onore conseguito è pegno di quello che si conseguirà. (ed. 1. 1665)

271. La gioventù è un'ebrezza continua: è la febbre della ragione. (ed. 1. 1665)

272. Nulla dovrebbe umiliare tanto gli uomini che si meritano i più grandi elogi quanto la cura ch'essi ancora si danno per farsi valere in cose da nulla. (ed. 5. 1678)

273. Vi sono delle persone apprezzate in società, che hanno per loro solo merito i vizi utili al commercio della vita. (ed. 1. 1665)

274. La grazia della novità è per l'amore quello che è il fiore rispetto al frutto; gli dà uno splendore che si cancella facilmente e che non ritorna più. (ed. 5. 1678)

275. Il buono di natura, che si vanta di essere così sensibile, è spesso soffocato dal minimo interesse. (ed. 1. 1665)

276. La lontananza diminuisce le piccole passioni, e accresce le grandi, come il vento spegne le candele e ravviva il fuoco. (ed. 1. 1665)

277. Le donne credono sovente d'amare anche quando non amano affatto. La preoccupazione di un intrigo, quel turbamento che dà la vita galante, l'inclinazione naturale al piacere d'essere amate, e il dispiacere di rifiutare, le convincono facilmente di avere in sé qualche grande passione, quando non hanno che un pò di civetteria. (ed. 1. 1665)

278. Quello che ci fa essere così spesso malcontenti di coloro che negoziano per altri, è che essi quasi sempre abbandonano l'interesse dei loro amici per l'interesse del successo del negoziato, che diventa il loro per l'onore di essere riusciti ad ottenere quello che volevano ottenere. (ed. 1. 1665)

279. Quando noi esageriamo l'affetto dei nostri amici verso di noi, non è tanto per riconoscenza, quanto per il desiderio di dar prova del nostro merito. (ed. 1. 1665)

280. Il plauso che viene dato a quelli che entrano di fresco nei favori del mondo sovente viene dall'invidia segreta che si ha per quelli che ne godono già da un pezzo. (ed. 1. 1665)

281. L'orgoglio che pure ci ispira tanta invidia ci serve sovente anche a moderarla. (ed. 1. 1665)

282. Vi sono certe falsità mascherate che raffigurano così bene la verità che sarebbe un giudicar male il non lasciarsene ingannare. (ed. 1. 1665)

283. Non c'è talvolta meno abilità a saper approfittare di un buon consiglio che nel ben consigliarsi da sé. (ed. 1. 1665)

284. Ci sono dei cattivi che sarebbero meno pericolosi se non avessero alcuna bontà. (ed. 1. 1665)

285. La magnanimità è ben definita dal suo nome; nondimeno si potrebbe dire che è il buon senso dell'orgoglio, e il mezzo più nobile per conseguire la lode. (ed. 1. 1665)

286. È impossibile amare una seconda volta ciò che si è veramente cessato d'amare. (ed. 1. 1665)

287. Non è tanto la fertilità di spirito che ci fa trovare parecchi espedienti per risolvere uno stesso affare, bensì è il difetto di giudizio che ci fa fermare su tutto quello che si presenta alla nostra immaginazione, e che ci impedisce di discernere fin dall'inizio il partito migliore. (ed. 1. 1665)

288. Vi sono affari e malattie che i rimedi rendono in certi momenti più gravi; la grande abilità consiste nel conoscere quando è dannoso usarli. (ed. 1. 1665)

289. La semplicità ostentata e una raffinata impostura. (ed. 2. 1666)

290. Ci sono più difetti nell'umore che nello spirito. (ed. 2. 1666)

291. Il merito degli uomini ha la sua stagione allo stesso modo dei frutti. (ed. 2. 1666)

292. Si può dire dell'uomore degli uomini, come della maggior parte degli edifici, che fa diverse facciate, alcune piacevoli altre spiacevoli. (ed. 2. 1666)

293. La moderazione non può avere il merito di contrastare l'ambizione e di soggiogarla: esse non si trovano mai insieme. La moderazione è il languore e la pigrizia dell'anima, come l'ambizione ne è l'attività e l'ardore. (ed. 1. 1665)

294. Noi amiamo sempre quelli che ci ammirano; e non sempre amiamo quelli che ammiriamo. (ed. 2. 1666)

295. Siamo ben lontani dal poter conoscere tutte le nostre volontà. (ed. 2. 1666)

296. È difficile amare coloro che non stimiamo; ma è ancora più difficile amare coloro che stimiamo molto più di noi. (ed. 2. 1666)

297. Gli umori del corpo hanno un corso ordinario e regolato, che muove e volge impercettibilmente la nostra volontà; circolano tutti insieme ed esercitano successivamente un segreto dominio in noi: cosicché hanno una parte considerevole in tutte le nostre azioni, senza che noi possiamo accorgercene. (ed. 1. 1665)

298. La riconoscenza nella maggior parte degli uomini non è che un segreto desiderio di ricevere maggiori benefici. (ed. 2. 1666)

299. Quasi tutti hanno piacere di sdebitarsi delle piccole obbligazioni; molti hanno riconoscenza per le obbligazioni mediocri; ma non c'è quasi nessuno che non abbia ingratitudine per le grandi. (ed. 2. 1666)

300. Vi sono delle follie che si prendono come le malattie contagiose. (ed. 2. 1666)
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301. Molti dipstrezzano le ricchezze, ma pochi sanno farne dono. (ed. 2. 1666)

302. D'ordinario non è che nelle cose di poco interesse che noi ci prendiamo il rischio di non credere alle apparenze. (ed. 3. 1671)

303. Per quanto bene si dica di noi non ci si dice nulla di nuovo. (ed. 3. 1671)

304. Perdoniamo sovente a quelli che ci annoiano, ma non possiamo perdonare a quelli che annoiamo. (ed. 3. 1671)

305. L'interesse che pure si accusa di tutti i nostri crimini merita sovente di essere lodato delle nostre buone azioni. (ed. 3. 1671)

306. Non si trovano molti ingrati finché si è in grado di fare del bene. (ed. 3. 1671)

307. È altrettanto lecito gloriarsi dentro di sé quanto è ridicolo gloriarsi con gli altri. (ed. 3. 1671)

308. Si è voluto fare una virtù della moderazione allo scopo di porre un freno all'ambizione dei grandi uomini, e consolare i mediocri della loro poca fortuna e dello scarso merito. (ed. 3. 1671)

309. Ci sono persone destinate ad essere sciocche, che non fanno solamente delle sciocchezze per loro scelta, ma sono costrette a farle dal destino. (ed. 3. 1671)

310. Nella vita talvolta arrivano degli accidenti, da cui bisogna essere un pò pazzi per uscirne bene. (ed. 3. 1671)

311. Se ci sono degli uomini in cui non è mai apparso il lato ridicolo è perché non lo si è mai ben cercato. (ed. 3. 1671)

312. Ciò che fa sì che gli amanti non si stanchino mai di stare insieme, è che parlano sempre di se stessi. (ed. 3. 1671)

313. Perché mai dobbiamo avere abbastanza memoria da ricordare anche le minime particolarità di ciò che ci è accaduto e non averne abbastanza da ricordarci quante volte le abbiamo già raccontate alla medesima persona? (ed. 3. 1671)

314. L'estremo piacere che noi proviamo a parlare di noi stessi deve farci temere di non far troppo piacere a coloro che ci ascoltano. (ed. 3. 1671)

315. Ciò che ci impedisce di solito di mostrare il fondo del nostro cuore ai nostri amici non è tanto la diffidenza che abbiamo verso di loro quanto quella che abbiamo verso noi stessi. (ed. 3. 1671)

316. Le persone deboli non possono essere sincere. (ed. 3. 1671)

317. Non è una gran disgrazia aver beneficiato degli ingrati, invece è una insopportabile disgrazia essere beneficati da un disonesto. (ed. 3. 1671)

318. Si possono trovare dei mezzi per guarire dalla pazzia, ma non c'è alcun mezzo per raddrizzare uno spirito strambo. (ed. 3. 1671)

319. Non è possibile conservare a lungo i sentimenti che si devono avere per i nostri amici e benefattori se ci si lascia la libertà di parlare sovente dei loro difetti. (ed. 3. 1671)

320. Lodare i principi delle virtù che non hanno, è un dire loro impunemente delle ingiurie. (ed. 3. 1671)

321. Noi siamo più vicini ad amare quelli che ci odiano che quelli che ci amano più di quanto vorremmo. (ed. 3. 1671)

322. Solo la gente spregevole può temere d'essere disprezzata. (ed. 3. 1671)

323. La nostra saggezza è al pari dei nostri averi alla mercé della sorte. (ed. 3. 1671)

324. Nella gelosia vi è più amor proprio che amore. (ed. 3. 1671)

325. Sovente ci consoliamo per debolezza dei mali di cui la ragione non ha la forza di consolarci. (ed. 3. 1671)

326. Il ridicolo disonora più del disonore. (ed. 3. 1671)

327. Noi confessiamo i nostri piccoli difetti solo per dare a intendere che non ne abbiamo di grandi. (ed. 3. 1671)

328. L'invidia è più irriconciliabile dell'odio. (ed. 3. 1671)

329. A volte si crede di odiare l'adulazione, ma non si odia che la maniera di adulare. (ed. 3. 1671)

330. Si perdona finché si ama. (ed. 3. 1671)

331. E più difficile essere fedeli alla propria amante quando ci rende felici che quando ci maltratta. (ed. 3. 1671)

332. Le donne non conoscono tutta la loro civetteria. (ed. 3. 1671)

333. Nelle donne la severità non va mai disgiunta dall'avversione. (ed. 3. 1671)

334. Le donne possono meno vincere la loro civetteria che la loro passione. (ed. 3. 1671)

335 In amore l'inganno va quasi sempre più in là della diffidenza. (ed. 3. 1671)

336. Vi è una certa specie d'amore così eccessivo che non consente d'essere gelosi. (ed. 3. 1671)

337. Per certe buone qualità avviene come per i sensi: coloro che ne sono completamente privi non le possono scorgere né comprendere. (ed. 3. 1671)

338. Quando il nostro odio è troppo forte, ci fa inferiori a quelli che odiamo. (ed. 3. 1671)

339. Noi non risentiamo dei nostri beni e dei nostri mali che in proporzione del nostro amor proprio. (ed. 3. 1671)

340. Lo spirito, nella maggior parte delle donne serve piuttosto a rafforzare la follia che la ragione. (ed. 3. 1671)

341. Le passioni della giovinezza non sono più contrarie alla salute dell'anima della tiepidezza dei vecchi. (ed. 4. 1675)

342. L'accento del paese dove si è nati rimane nello spirito e nel cuore, al pari del linguaggio. (ed. 4. 1675)

343. Per essere un grand'uomo bisogna saper approfittare di tutta la propria fortuna. (ed. 4. 1675)

344. La maggior parte degli uomini ha come le piante delle proprietà nascoste che solo il caso fa scoprire. (ed. 4. 1675)

345. Le occasioni ci fanno conoscere agli altri e ancor di più a noi stessi. (ed. 4. 1675)

346. Non vi può essere ordine né nello spirito, né nel cuore delle donne se il temperamento non acconsente. (ed. 4. 1675)

347. Noi non troviamo molte persone di buon senso fuori di quelle che sono del nostro parere. (ed. 4. 1675)

348. Quando si ama si dubita sovente di ciò a cui si crede di più. (ed. 4. 1675)

349. Il più grande miracolo dell'amore è di guarire dalla civetteria. (ed. 4. 1675)

350. Ciò che ci rende tanto severi contro coloro che tentano di raggirarci, è che si credono più abili di noi. (ed. 4. 1675)

351. Come è difficile lasciarsi quando non ci si ama più! (ed. 4. 1675)

352. Ci si annoia quasi sempre con le persone con le quali non è permesso annoiarsi. (ed. 4. 1675)

353. Un uomo onesto può essere innamorato come un pazzo, non come uno sciocco. (ed. 4. 1675)

354. Ci sono certi difetti che messi in opera abilmente brillano di più che la stessa virtù.(ed. 4. 1675)

355. Capita talvolta di perdere delle persone che suscitano più rimpianto che dolore, e altre che suscitano più dolore che rimpianto. (ed. 4. 1675)

356. Di solito noi non lodiamo di cuore se non coloro che ci ammirano. (ed. 4. 1675)

357. Gli spiriti piccoli sono troppo offesi dalle piccole cose; gli spiriti grandi le vedono tutte, e non ne sono affatto offesi. (ed. 4. 1675)

358. L'umiltà è la vera prova delle virtù cristiane; senza di essa noi conserviamo tutti i nostri difetti, questi sono solamente coperti dall'orgoglio, che li nasconde agli altri e spesso a noi stessi. (ed. 4. 1675)

359. Le infedeltà dovrebbero spegnere l'amore, e non si dovrebbe esser gelosi quando si ha motivo di esserlo. Non ci sono che le persone che evitano di suscitare gelosia che siano degne della gelosia che si ha per loro. (ed. 4. 1675)

360. Noi perdiamo di più la stima delle persone per le più piccole infedeltà fatte a noi che per le più grandi che esse fanno ad altri. (ed. 4. 1675)

361. Le gelosia nasce sempre con l'amore, ma non sempre muore con lui. (ed. 4. 1675)

362. La maggior parte delle donne piangono la morte dei loro amanti non tanto per averli amati, quanto per apparir più degne d'essere amate. (ed. 4. 1675)

363. Le violenze che ci fanno gli altri ci danno sovente minor pena di quelle che ci facciamo noi stessi. (ed. 4. 1675)

364. Tutti sanno che non bisogna mai parlare della propria donna, ma non tutti sanno che bisognerebbe parlare ancor meno di sé. (ed. 4. 1675)

365. Ci sono delle buone qualità che degenerano in difetti quando sono naturali, e altre che non sono mai perfette quando sono acquisite. Bisogna, per esempio, che la ragione ci renda parsimoniosi dei nostri beni e delle nostre confidenze. (ed. 4. 1675)

366. Per quanto possiamo dubitare della sincerità di chi ci parla, noi crediamo sempre che ci parli più sinceramente che agli altri. (ed. 4. 1675)

367. Sono poche le donne oneste che non siano stanche del loro mestiere. (ed. 4. 1675)

368. La maggior parte delle donne oneste sono dei tesori nascosti, che non corrono rischi solo perché nessuno li cerca. (ed. 4. 1675)

369. Le violenze che ci facciamo per impedirci di amare sono sovente più crudeli delle ripulse di chi amiamo. (ed. 4. 1675)

370. Non c'è vigliacco che conosca sempre tutta la sua paura. (ed. 4. 1675)

371. È quasi sempre colpa di chi ama il non accorgersi quando non si è più amato. (ed. 4. 1675)

372. La maggior parte dei giovani crede di essere naturale quando non è che maleducata e grossolana. (ed. 5. 1678)

373. Vi sono lacrime che ingannano noi stessi dopo aver ingannato gli altri. (ed. 4. 1675)

374. Se si crede di amare la propria amante per amore di lei ci si inganna molto. (ed. 4. 1675)

375. Gli spiriti mediocri condannano di solito quello che oltrepassa la loro portata. (ed. 5. 1678)

376. L'invidia è distrutta dalla vera amicizia, e la civetteria dal vero amore. (ed. 4. 1675)

377. Il più grande difetto della penetrazione non è di andare fino al fondo, ma di passarlo. (ed. 4. 1675)

378. Si possono dare dei consigli, ma non si più dirigere il comportamento. (ed. 4. 1675)

379. Quando declinano i nostri pregi, declinano anche i nostri gusti. (ed. 4. 1675)

380. La fortuna mette in luce le nostre virtù e i nostri vizi, come la luce fa apparire gli oggetti. (ed. 4. 1675)

381. La violenza che ci dobbiamo fare per mantenerci fedeli alla persona amata non vale molto di più di una infedeltà. (ed. 4. 1675)

382. Le nostre azioni sono come le rime obbligate, che ogniuno riferisce a ciò che vuole. (ed. 4. 1675)

383. La smania di parlare di noi e di far vedere i nostri difetti dal lato che più ci conviene costituisce una gran parte della nostra sincerità. (ed. 4. 1675)

384. Ci dovremmo meravigliare di poter ancora meravigliarci. (ed. 4. 1675)

385. Siamo quasi altrettanto difficili da accontentare quando amiamo molto che quando non amiamo più. (ed. 4. 1675)

386. Nessuno a così spesso torto come chi non può soffrire d'aver torto. (ed. 4. 1675)

387. Uno sciocco non ha mai stoffa sufficiente per essere buono. (ed. 4. 1675)

388. Se pure la vanità non capovolge interamente le virtù, certo le scompagina tutte. (ed. 4. 1675)

389. Ciò che rende la vanità degli altri insopportabile è che ferisce la nostra. (ed. 4. 1675)

390. Si rinuncia più facilmente al proprio interesse che ai propri gusti. (ed. 4. 1675)

391. La fortuna non sembra mai così cieca come a chi non fa alcun bene. (ed. 4. 1675)

392. Bisogna regolarsi con la fortuna come con la salute: goderne quando è buona, portare pazienza quando è cattiva, e non usare mai grandi rimedi senza che ce ne sia estremo bisogno. (ed. 4. 1675)

393. Si può perdere l'aria da borghese nell'esercito, non la si perde mai a corte. (ed. 4. 1675)

394. Si può essere più furbi di un altro, ma non più furbi di tutti gli altri. (ed. 4. 1675)

395. Si è talvolta meno infelici a essere ingannati dalla persona amata che a esserne disingannati. (ed. 4. 1675)

396. Si conserva a lungo il primo amante quando non se ne prende mai un secondo. (ed. 4. 1675)

397. Noi non abbiamo il coraggio di dire in generale che non abbiamo alcun difetto e che i nostri nemici non hanno alcuna virtù, ma, caso per caso, non siamo molto lontani dal crederlo. (ed. 4. 1675)

398. Di tutti i nostri difetti quello di cui conveniamo più facilmente è la pigrizia; noi ci persuadiamo ch'essa ha attinenza con tutte le virtù pacifiche e che, senza distruggere interamente le altre, ne sospende soltanto il funzionamento. (ed. 4. 1675)

399. Vi è una nobiltà che non dipende dalla fortuna: è una certa aria che ci distingue dagli altri e che sembra destinarci a grandi cose; è un prezzo che noi diamo impercettibilmente a noi stessi; è in virtù di questa qualità che noi otteniamo il rispetto degli altri uomini, ed è essa che normalmente ci pone al di sopra di loro, assai più della nascita, della dignità e del merito stesso. (ed. 4. 1675)

400. C'è del merito senza nobiltà, ma non c'è nobiltà senza qualche merito. (ed. 4. 1675)

401. La nobiltà è per il merito ciò che l'acconciatura è per le belle donne. (ed. 4. 1675)

402. Ciò che manca di più nella vita galante è l'amore. (ed. 4. 1675)

403. La fortuna si serve qualche volta dei nostri difetti per innalzarci, e vi sono persone fastidiose che mal sarebbero ricompensate del loro merito se non si volesse pagare per tenerle lontane. (ed. 4. 1675)

404. Sembra che la natura abbia nascosto nel fondo del nostro spirito delle capacità e un'accortezza che non conosciamo; solo le passioni hanno diritto di metterle in luce, e di darci qualche volta delle vedute più sicure e più definitive di quel che non possa fare lo studio. (ed. 4. 1675)

405. Noi arriviamo sempre nuovi alle diverse età della vita, e manchiamo ogni volta d'esperienza, malgrado il numero degli anni. (ed. 4. 1675)

406. Le donne galanti si fanno un onore di essere gelose dei loro amanti, per nascondere che sono invidiose delle altre donne. (ed. 4. 1675)

407. Non è da credere che quelli che s'impigliano nelle nostre astuzie ci debbano apparire così ridicoli come noi sembriamo a noi stessi quando ci impigliamo nelle astuzie degli altri. (ed. 4. 1675)

408. La più pericolosa ridicolaggine delle persone vecchie che furono già piacenti è di dimenticare che non lo sono più. (ed. 4. 1675)

409. Ci vergogneremmo spesso delle nostre più belle azioni se il mondo vedesse tutti i motivi che le producono. (ed. 4. 1675)

410. La più difficile prova di amicizia non è di mostrare i nostri difetti a un amico; è di fargli vedere i suoi. (ed. 4. 1675)

411. Non ci sono forse difetti che non siano più perdonabili dei mezzi di cui ci si serve per nasconderli. (ed. 4. 1675)

412. Per quanta vergogna uno possa aver meritato, è quasi sempre in nostro potere ristabilire la nostra reputazione. (ed. 4. 1675)

413. Non può piacere a lungo chi ha un'unica specie di spirito. (ed. 5. 1678)

414. I pazzi e gli sciocchi non sanno vedere che attraverso il loro umore. (ed. 5. 1678)

415. L'ingegno ci serve a volte a commettere fior di sciocchezze. (ed. 5. 1678)

416. La vivacità che aumenta invecchiando non è lontana dalla follia. (ed. 5. 1678)

417. In amore chi che guarisce per primo è sempre quello che guarisce meglio. (ed. 5. 1678)

418. Le giovani donne che non vogliono sembrare leggere, e gli uomini d'età che non vogliono sembrare ridicoli, non devono mai parlare d'amore come di cosa che li possa riguardare. (ed. 5. 1678)

419. Noi possiamo sembrare grandi in un ufficio al di sotto delle nostre capacità, ma sembriamo quasi sempre meschini in un ufficio più grande di noi. (ed. 5. 1678)

420. Noi crediamo spesso di essere forti nelle disgrazie quando non siamo altro che abbattuti, e le sopportiamo senza osare guardarle, come quei vili che si lasciano uccidere per paura di difendersi. (ed. 5. 1678)

421. Contribuisce di più alla conversazione la fiducia che non lo spirito. (ed. 5. 1678)

422. Tutte le passioni ci fanno commettere degli errori, ma i più ridicoli ce li fa commettere l'amore. (ed. 5. 1678)

423. Pochi sanno essere vecchi. (ed. 5. 1678)

424. Noi ci facciamo vanto dei difetti opposti a quelli che abbiamo: quando siamo deboli ci vantiamo d'essere ostinati. (ed. 5. 1678)

425. La penetrazione ha un'aria di indovinare che lusinga la nostra vanità più di tutte le altre qualità dello spirito. (ed. 5. 1678)

426. Il fascino della novità e la lunga abitudine, per quanto opposti fra loro, ci impediscono egualmente di percepire i difetti dei nostri amici. (ed. 5. 1678)

427. La maggior parte degli amici è disgustata dall'amicizia, e la maggior parte dei devoti è disgustata dalla devozione. (ed. 5. 1678)

428. Noi perdoniamo facilmente ai nostri amici i difetti che non ci riguardano. (ed. 5. 1678)

429. Le donne che amano perdonano più volentieri le grandi indiscrezioni che non le piccole infedeltà. (ed. 5. 1678)

430. Nella vecchiaia dell'amore, come in quella dell'età, si è ancora vivi per i mali, ma non si è più vivi per i piaceri. (ed. 5. 1678)

431. Nulla ci impedisce tanto di essere naturali quanto la smania della naturalezza. (ed. 5. 1678)

432. È in qualche modo prender parte alle belle azioni lodarle di tutto cuore. (ed. 5. 1678)

433. Il più sicuro indizio di esser nati con grandi qualità è d'esser nati senza invidia. (ed. 5. 1678)

434. Quando i nostri amici ci hanno ingannati, noi non possiamo più avere altro che indifferenza per le loro manifestazioni di amicizia, ma dobbiamo avere ancora compassione per le loro disgrazie. (ed. 5. 1678)

435. La fortuna e il capriccio governano il mondo. (ed. 5. 1678)

436. È più facile conoscere l'uomo in generale che conoscere l'uomo in particolare. (ed. 5. 1678)

437. Non si deve giudicare il merito di un uomo dalle sue grandi qualità, ma dall'uso che sa farne. (ed. 5. 1678)

438. Vi è una certa riconoscenza viva che non solo ci sdebita di benefici ricevuti, ma fa sì che i nostri amici restino in debito verso di noi mentre li ripaghiamo di ciò che dobbiamo loro. (ed. 5. 1678)

439. Non desidereremmo più alcuna cosa con ardore se conoscessimo perfettamente ciò che desideriamo. (ed. 5. 1678)

440. Ciò che fa sì che la maggior parte delle donne sia poco sensibile all'amicizia è che essa è insipida quando si è gustato l'amore. (ed. 5. 1678)

441. Nell'amicizia come nell'amore si è spesso più felici per le cose che non si sanno che per quelle che si sanno. (ed. 5. 1678)

442. Noi cerchiamo di farci un merito dei difetti di cui non vogliamo correggerci. (ed. 5. 1678)

443. Le più violente passioni a volte ci danno tregua, ma la vanità ci agita sempre. (ed. 5. 1678)

444. I vecchi pazzi sono più pazzi dei giovani. (ed. 5. 1678)

445. La debolezza è più opposta alla virtù del vizio. (ed. 5. 1678)

446. Ciò che rende le fitte della vergogna e della gelosia così penose è che la vanità non può aiutarci a sopportarle. (ed. 5. 1678)

447. La buona creanza è la minore di tutte le leggi e la più seguita. (ed. 5. 1678)

448. Per uno spirito retto è meno difficile sottomettersi agli spiriti strambi che governarli. (ed. 5. 1678)

449. Quando la fortuna ci sorprende dandoci una posizione elevata senza averci avvicinato ad essa gradualmente, o senza che noi ci innalziamo con le nostre speranze, è pressoché impossibile reggerla bene e apparire degni di occuparla. (ed. 5. 1678)

450. Il nostro orgoglio si accresce sovente di quanto togliamo agli altri nostri difetti. (ed. 5. 1678)
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451. Non vi sono sciocchi più fastidiosi degli sciocchi di spirito. (ed. 5. 1678)

452. Non vi è nessun uomo che si creda in ciascuna delle sue qualità al di sotto dell'uomo che egli stima di più. (ed. 5. 1678)

453. Nelle grandi imprese più che sforzarsi di far nascere le occasioni, bisogna saper approfittare di quelle che si presentano. (ed. 5. 1678)

454. Non c'è forse occasione in cui si possa fare un cattivo affare rinunciando al bene che si dice di noi, a patto che non se ne dica nemmeno alcun male. (ed. 5. 1678)

455. Per quanto la gente sia incline a mal giudicare, si usa ancora più spesso indulgenza al falso merito che non ingiustizia al vero merito. (ed. 5. 1678)

456. Si può talvolta essere sciocchi pur avendo ingegno, ma non lo si è mai se si ha giudizio. (ed. 5. 1678)

457. Ci guadagneremmo di più a lasciarci vedere come siamo che a cercare di apparire come non siamo. (ed. 5. 1678)

458. Si avvicinano di più alla verità i nostri nemici, nel concetto che si fanno di noi, di quanto non ci avviciniamo noi stessi. (ed. 5. 1678)

459. Vi sono parecchi rimedi per guarire dall'amore, ma nessuno è infallibile. (ed. 5. 1678)

460. Siamo ben lontani dal conoscere tutto ciò che le nostre passioni ci fanno fare. (ed. 5. 1678)

461. La vecchiaia è un tiranno che vieta sotto pena di morte tutti o piaceri della giovinezza. (ed. 5. 1678)

462. Il medesimo orgoglio che ci fa biasimare i difetti da cui noi ci crediamo esenti ci fa disprezzare le buone qualità che noi non abbiamo. (ed. 5. 1678)

463. Vi è sovente più orgoglio che bontà nel compiangere le disgrazie dei nostri nemici; solo per mostrare che siamo superiori a loro li gratifichiamo dei segni della nostra compassione. (ed. 5. 1678)

464. C'è un eccesso di bene e di male che oltrepassa la nostra sensibilità. (ed. 5. 1678)

465. L'innocenza è ben lontana dal trovare tanta protezione quanto il crimine. (ed. 5. 1678)

466. Di tutte le passioni violente quella che disdice meno alle donne, è l'amore. (ed. 5. 1678)

467. Ci fa fare più cose contrarie al nostro gusto la vanità che la ragione. (ed. 5. 1678)

468. Vi sono delle cattive qualità che producono dei grandi talenti. (ed. 5. 1678)

469. Non si desidera mai ardentemente ciò che si desidera solo con la ragione. (ed. 5. 1678)

470. Tutte le nostre qualità sono incerte e dubbiose nel bene come nel male, e sono quasi tutte alla mercé delle occasioni. (ed. 5. 1678)

471. Nei loro primi amori le donne amano l'amante, nei successivi amano l'amore. (ed. 5. 1678)

472. L'orgoglio ha le sue bizzarrie come tutte le altre passioni; si ha vergogna di confessare che si è al presente gelosi, e ci si fa un vanto di esserci caduti in passato e di poterci ricadere. (ed. 5. 1678)

473. Per quanto sia raro il vero amore è ancora più rara la vera amicizia. (ed. 5. 1678)

474. È raro che il merito delle donne duri più a lungo della loro bellezza. (ed. 5. 1678)

475. Il desiderio di essere compianti o di essere ammirati è quello che più frequentemente ci spinge a confidarci con gli altri. (ed. 5. 1678)

476. La nostra invidia dura più a lungo della felicità di quelli che invidiamo. (ed. 5. 1678)

477. La stessa fermezza che serve a resistere all'amore serve anche a renderlo violento e duraturo; gli animi fiacchi che sono sempre agitati da passioni non ne sono quasi mai veramente riempiti. (ed. 5. 1678)

478. L'immaginazione non potrebbe inventare tanti diversi contrasti quanti ce ne sono naturalmente nel cuore di ogni uomo. (ed. 5. 1678)

479. Solo le persone di carattere fermo possono essere dotate di vera dolcezza; quelle che sembrano d'animo dolce non hanno il più delle volte che debolezza, che si converte facilmente in asprezza. (ed. 5. 1678)

480. La timidezza è un difetto tale che è pericoloso riprendere le persone che si vorrebbe correggere. (ed. 5. 1678)

481. Nulla è più raro della vera bontà; quelli che credono di averne non hanno il più delle volte che della compiacenza o della debolezza. (ed. 5. 1678)

482. Lo spirito si attacca per pigrizia o per costanza a ciò che è facile o gradevole; quest'abitudine mette sempre un limite al nostro sapere, e non c'è mai stato nessuno che si sia dato pena di estendere e condurre il suo spirito fin la dove sarebbe potuto andare. (ed. 5. 1678)

483. Di solito si è più maldicenti per vanità che per malizia. (ed. 5. 1678)

484. Siamo più facilmente preda di una passione nuova quando il nostro cuore è ancora agitato dagli ultimi guizzi di una passione che quando siamo interamente guariti. (ed. 5. 1678)

485. Coloro che hanno avuto qualche grande passione si ritrovano per tutta la vita felici e infelici d'esserne guariti. (ed. 5. 1678)

486. Sono più numerose le persone senza interesse di quelle senza invidia. (ed. 5. 1678)

487. Abbiamo più pigrizia nello spirito che nel corpo. (ed. 5. 1678)

488. Il nostro umore tranquillo o agitato dipende non tanto dalle cose più gravi che ci capitano nella vita, quanto dall'assestamento comodo o spiacevole di quelle piccole cose che ci capitano tutti i giorni. (ed. 5. 1678)

489. Per quanto malvagi possano essere gli uomini, non osano mai mostrarsi nemici della virtù, e quando vogliono perseguitarla fingono di crederla falsa, o le attribuiscono dei delitti. (ed. 5. 1678)

490. Si passa spesso dall'amore all'ambizione, ma non si ritorna mai dall'ambizione all'amore. (ed. 5. 1678)

491. L'estrema avarizia si sbaglia quasi sempre; non vi è passione che si allontani più spesso dal suo scopo, né su cui il presente abbia tanto potere a scapito dell'avvenire. (ed. 5. 1678)

492. L'avarizia produce spesso effetti contrari: vi è un'infinità di persone che sacrificano tutto il loro avere a speranze dubbie e lontane, mentre altri disprezzano i più grandi vantaggi futuri per piccoli interessi presenti. (ed. 5. 1678)

493. Pare che gli uomini trovino di non avere già abbastanza difetti, perché ne accrescono ancora il numero con certe singole qualità di cui ostentano ornarsi, e le coltivano con tanta cura che finiscono col diventare difetti naturali, dai quali non dipende più da loro correggersi. (ed. 5. 1678)

494. Ciò che mostra che gli uomini conoscono le loro colpe meglio di quanto non si creda è che non hanno mai torto quando parlano ciascuno della propria condotta; quello stesso amor proprio che di solito li acceca, in quel momento li illumina e li guida così bene che li conduce a sopprimere o mascherare anche le minime cose che potrebbero essere riprovate. (ed. 5. 1678)

495. Bisogna che i giovani, al loro entrare nella vita mondana, siano o vergognosi o storditi: un'aria franca e sufficiente si converte di solito in impertinenza. (ed. 5. 1678)

496. Le liti non durerebbero a lungo se il torto fosse da una sola parte. (ed. 5. 1678)

497. Non serve esser giovane senz'esser bella, né esser bella senza esser giovane. (ed. 5. 1678)

498. Vi sono delle persone così leggere e così frivole che sono lontane dall'aver tanto dei difetti quanto delle solide virtù. (ed. 5. 1678)

499. Non si conta la prima avventura galante di una donna se non quando ne ha una seconda. (ed. 5. 1678)

500. Vi sono certe persone così piene di sé che, quando sono innamorate, trovano modo d'essere occupate dalla propria passione senz'essere occupate della persona che amano. (ed. 5. 1678)

501. L'amore, così gradito com'è, piace ancor meglio per i modi con cui si mostra, che per se stesso. (ed. 5. 1678)

502. Poco spirito e mente diritta annoiano meno, a lungo andare, che molto spirito e stramberia. (ed. 5. 1678)

503. La gelosia è il più grande di tutti i mali, e quello che ispira meno pietà a chi ne è causa. (ed. 5. 1678)

504. Dopo aver parlato della falsità di tante virtù apparenti, è bene dire qualche cosa della falsità del disprezzo della morte. Intendo parlare di quel disprezzo della morte che i pagani si vantano di trarre dalle proprie forze, senza la speranza di una migliore vita. Altro è soffrire la morte con fermezza, altro è disprezzarla. La prima cosa è abbastanza comune, ma l'altra credo che non sia mai sincera. È stato scritto nondimeno tutto quanto potrebbe in qualche modo persuadere che la morte non è un male; e gli uomini più deboli, non meno degli eroi, hanno fornito esempi per sostenere questa opinione. Tuttavia dubito che qualunque uomo di buon senso vi abbia mai creduto; e lo stesso gran daffare con cui si tenta di persuadere gli altri e se stessi mostra chiaramente che non è facile impresa. Si possono aveve vari motivi di disgusto nella vita, ma non si ha mai ragione di disprezzare la morte; quelli stessi che ci vanno incontro volontariamente non la tengono poi in così poco conto, e se ne spaventano e la respingono come tutti gli altri, se si presenta loro per una via diversa da quella che essi stessi hanno scelto. La variabilità che si nota nel coraggio di moltissmi uomini valorosi viene da questo: che la morte si manifesta in modo diverso alla loro immaginazione, e la impressiona più vivamente in certi momenti che in altri. Così capita che, dopo aver disprezzato ciò che non conoscevano, temono alla fine ciò che conoscono. Bisogna evitare di considerarla con tutte queste circostanze, se non si vuol credere che sia il più grande di tutti i mali. I più accorti e i più valorosi sono quelli che prendono i più plausibili pretesti per evitare di guardarla in faccia; ma ogni uomo che sa vederla qual'è trova che è una cosa spaventosa. La necessità di morire costituiva tutta la fermezza dei filosofi. Essi ritenevano che era meglio andare di buon animo là dove non si poteva fare a meno di andare e, non potendo rendere eterna la vita, non tralasciavano nulla per rendere eterna la loro reputazione e salvare dal naufragio ciò che poteva ancora essere salvato. Contentiamoci di far buon viso, di non dire a noi stessi tutto quel che ne pensiamo, e confidiamo più nel nostro temperamento che in quei deboli ragionamenti che ci fanno credere ci si possa accostare alla morte con indifferenza. La gloria di morire con fermezza, la speranza d'essere rimpianti, il desiderio di lasciare bella fama di sé, la certezza di essere affrancati dalle mserie della vita e di non dipendere più dai capricci della fortuna non sono rimedi che si debbano trascurare. Ma non si deve nemmeno credere che siano rimedi infallibili. Essi servono a rinfrancarci, così come una semplice siepe serve, in un combattimento, a rinfrancare quelli che devono avvicinarsi a un luogo da cui si spara. Finché sono lontani s'immaginano che possa ripararli; come poi sono sotto, trovano che è un ben misero riparo. È un'illusione credere che la morte ci sembri da vicino quel che ne arguimmo da lontano, e che i nostri sentimenti, tutti pieni di debolezza, siano di tal tempra da non lasciarsi scuotere dalla più rude delle prove. È pure misconoscere gli effetti dell'amor proprio pensare ch'esso possa aiutarci a non far caso di ciò che lo deve necessariamente distruggere; e la ragione, nella quale si presume di trovare tanti aiuti, è troppo debole in questa circostanza, e non può affatto persuaderci come noi vorremmo. Anzi, è proprio lei che ci tradisce il più delle volte e, invece di ispirarci il disprezzo della morte, serve a farci vedere quel che essa ha di cupo e terribile. Tutto ciò che può fare per noi è di consigliarci a distogliere gli occhi per fissarli su altri oggetti. Catone e Bruto ne scelsero di illustri. Un servo si contentò, qualche tempo fa, di ballare sul patibolo dove doveva essere arrotato. Così, benché i motivi siano diversi, producono gli stessi effetti. È vero pertanto che, qualunque sproporzione vi sia tra i grandi uomini e la gente comune, si sono visti mille volte e questi e quelli accogliere la morte con lo stesso viso; sempre peraltro con questaa differenza che, nel disprezzo che i grandi uomini mostrano per la morte, è l'amore della gloria che nasconde ai loro occhi la vista della morte, e nella gente comune, non è che un effetto di pochezza della mente, per cui non possono conoscere la grandezza del male che li attende, e restano liberi di pensare ad altro. (ed. 1. 1665)
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17/06/2005 15:53
 
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fate[SM=x35577] ..anke se ce le davi in pillole nn ti prendavamo a calci[SM=x35593] [SM=x35593] [SM=x35593] ![SM=x35593] [SM=x35593] [SM=x35593] ...ne ho lette alcune...proprio belleeeeeeeeeeee....cn calma le legerò tutte...nel frattempo tutto cio' ke hai vai postaloooo[SM=x35595]
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Monsterista implume
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17/06/2005 16:22
 
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Re:
Scritto da: miciamao 17/06/2005 15.53
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> nel frattempo tutto cio' ke hai
> vai postaloooo[SM=x35595]
>
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Sei sicura di questa tua affermazione?
Guarda che è un grossissio rischio [SM=x35577]


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