Ragazzi vi giro l'editoriale di Motociclismo di questo mese:
Il mercato chiude quest'anno in progresso, ma a far la parte del leone sono i giapponesi.
Dov'è finita la creatività italiana?
Dice Claudio Castiglioni che presto ci darà nuove moto bellissime. Lo ha sempre fatto, e l’ingessatura dell’amministrazione controllata da cui è fi nalmente uscito non gli ha intorpidito la passione. Semmai, l’astinenza gli ha dato la carica. Si respira passione ogni volta che si va a Schiranna. Anche quando i conti non tornavano, e a furia di precipitare in rosso facevano temere il peggio, nella vecchia fabbrica in riva al lago si parlava di moto. Figuratevi adesso, che i malesi della Proton hanno irrorato gli impianti di soldi veri, sufficienti non soltanto a campare, ma a guardare lontano. Se non guarda lontano, uno come Castiglioni non si diverte, anzi non comincia neppure a giocare. Lui come quel genio del suo amico Massimo Tamburini, il padre della Ducati 916, della MV F4 e della Brutale, quello che respinse con un sorriso l’assegno in bianco offerto da Ivano Beggio patron di Aprilia, quando Aprilia era Aprilia. Beggio non si è mai capacitato di quel rifiuto: aveva offerto un lavoro a peso d’oro, solo ma per gente come Tamburini la moto non è mai stato un lavoro. La passione non basta, si capisce. Ma è sempre stata la passione la carta vincente delle moto italiane, il nostro “vantaggio competitivo”. La passione non può essere iscritta a bilancio, però a fare i bilanci concorre, eccome. Quando latita, primo o poi si vede anche dai numeri.
Il 2004 è stato un anno anche migliore del previsto per il mercato italiano, ma non per i produttori italiani. Nei primi dieci mesi sono state immatricolati in Italia tra moto e scooter 397.360 pezzi, contro i 384.740 del corrisponde periodo 2003. Ma il successo maggiore è toccato ai giapponesi che sono passati da 180.408 unità a 201.648, oltre il 10% in più. Come dire che le vendite di moto giapponesi hanno sopravanzato quelle italiane, tedesche, austriache, americane e inglesi, messe assieme. Ma ad arretrare sono stati i marchi italiani: Ducati è passata da 11.366 a 10.927 unità, Aprilia addirittura da 43.591 a 28.840; soltanto Piaggio è cresciuta (da 77.610 a 82.164 pezzi) ma grazie unicamente agli scooter. L’Italia è un terreno di cultura magnifico per la passione motociclistica. Non parliamo delle origini, guardiamo al presente. La più grande fabbrica “italiana” di moto oggi è la Honda di Atessa. Nello stabilimento brianzolo di Gerno di Lesmo Yamaha costruisce l’avveneristica fuoristrada WR450F a due ruote motrici e la naked Bulldog 1100, oltre ad aver attivato un centro stile scooter e moto. Ma soprattutto a Gerno c’è il reparto corse Superbike e MotoGP, dove viene studiata e messa a punto quella che è risultata quest’anno la moto da corsa più forte del mondo. Per Yamaha almeno questo sbarco in Italia è soltanto l’inizio. Basta annusare i piani di guerra che traspaiono dalle parole di Enrico Pellegrino, direttore generale commerciale di Yamaha Motor Italia, per capire che il bello (per loro) deve ancora cominciare. E per noi? Oggi l’Aprilia è salva, grazie a Colaninno. La Moto Guzzi pure. Attorno ai due marchi le aspettative sono enormi, anche se risalire la china darà durissima. Aspettiamo fiduciosi. Ma non rimane molto tempo.
Io direi che ha ragione...