Rossi Campione, un titolo ricco di significati

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pico66
00lunedì 18 ottobre 2004 10:17
Uno dei momenti più importanti di 55 anni di Motomondiale, un evento unico nel suo genere, inimitabile per caratteristiche, valutazioni, motivi. Valentino Rossi è Campione del Mondo Moto Gp stagione 2004, il sesto trionfo, il primo con la Yamaha. Un titolo mai così ricco di significati, con una sfida moto-pilota finora discussa solo a parole, sino a oggi, 17 ottobre 2004, quando il talento di Tavullia ha screditato tutti luoghi comuni, tante dicerie senza senso che nel mondo delle due ruote non meritano di essere ascoltate.

Leggenda vivente del Motociclismo, senza evitare i soliti inutili, inopportuni confronti con il passato, ma è impossibile non rimanere estasiati, onorati di esser testimoni di un evento dal sapore epico della sfida. Il motociclismo trova la figurazione in Valentino Rossi, trovando una nuova realtà, nuovi aspetti di uno sport che nonostante gli innumerevoli interessi torna a rappresentare i valori iniziali della disciplina. Motociclismo, motocicletta, macchè, vince l’uomo, vince la sfida di una persona contro un’intera azienda, contro 500 membri di un esercito da competizione chiamato HRC, Honda Racing Corporation. Tutti obbligati a rimanere in silenzio, senza aprir bocca, se non per complimentarsi con il Dottore che adesso è davvero re del mondo delle due ruote. Sei volte campione del mondo in nove anni di Motomondiale, quattro in cinque anni nella classe regina, totalizzando 41 successi su 79 gare disputate: cifre improponibili per uno sport che adesso deve fare i conti su come è possibile trovare un’alternativa a Valentino, di quanto la popolarità del Motomondiale è direttamente proporzionale alla presenza del fenomeno di Tavullia.

Leggenda, fenomeno, fuoriclasse: non vogliamo usare queste parole, sono ripetitive, già sentite, risentite, dosate su un calice di festeggiamenti che vede sempre il Dottore protagonista. Noi parliamo di Motociclismo, parliamo di uno sport basato sul mezzo meccanico, ma come si può dire oggi questo quando c’è Valentino Rossi che vince la sua sfida personale contro la Honda, contro tutti i suoi detrattori, contro chi è invidioso del suo stato perfezionista di vincente.
Torna la Yamaha al successo a 12 anni di distanza da Wayne Rainey, l’unico, assieme a Jeremy Burgess, l’anno passato a non obiettare sulla possibilità di vedere Rossi campione del mondo nell’anno del debutto con la moto di Iwata. Una sfida cominciata con ritardo, a Sepang, lo scorso 24 gennaio, dopo il proibizionismo imposto dal contratto Honda e dallo stop dei test invernali. Subito record della pista, subito il vero Valentino, che ha messo poco tempo per confermarsi quale dominatore della Moto Gp. Vittoria nei test IRTA di Barcellona, al debutto a Welkom, al Mugello, Barcellona, Assen, Donington, Estoril, Sepang…

Cosa stiamo a discutere? Cosa stiamo a scrivere? Ogni parola non può esaltare l’impresa di Valentino, se non screditare le parole della concorrenza. “Non ha il coraggio di andarsene dalla Honda”. “Non vincerà mai con la Yamaha”. Detto, fatto, ancora una volta Rossi zittisce la concorrenza. Potrebbe dire quello che vuole, chiedere tutti i soldi del mondo, tutti saranno costretti ad acconsentire, perché un talento simile abbinato a una personalità tale da convincere anche la persona più scettica a seguire le due ruote non può non chiedere il meglio. Rossi preferisce non farlo, non è il momento, non è nel suo stile. Deve festeggiare, deve dare il proprio impulso nel finale di una stagione straordinaria, ma poi si torna al solito ruolo, alla solita voglia di non prendersi troppo sul serio, di non prendere in maniera ossessiva la propria professione. La mentalità di Valentino è la sua prima forza, la sicurezza e forza in sé stesso, mai espressa a nessun microfono, per mantenere le giuste distanze tra sé (mostro) e gli altri.

Quanti casi prima del 17 ottobre 2004 portano un uomo a battere un’azienda dedita 24 ore su 24, sette giorni su sette al Motomondiale, moltiplicata per 500 dipendenti divisi tra Belgio e Tokyo? La Honda oggi subisce una pesante umiliazione, nonostante la vittoria nel titolo costruttori possa giustificare il valore effettivo della RC211V. Ma è il modo di separazione da Valentino, e i conseguenti…dietrofront che mettono in cattiva luce chi ha preso questa sciagurata scelta. Rossi ha avuto ragione, come ha avuto il merito e l’onore di riportare la Yamaha al successo, poco prima del cinquantenario della casa di Iwata. Sempre lui vince, sempre lui conquista le prime pagine dei giornali, sempre lui al centro dell’attenzione. Ne farebbe volentieri a meno di essere una superstar: non lo si vede mai al centro di programmi TV, le sue apparizioni a livello mediatico fuori dal Motomondiale si contano con le dita di una sola mano, vuole vivere tranquillo, sereno, pur divertendosi a guidare la sua beneamata motocicletta.

Se per lui la RC211V era una fidanzata, la M1 cosa rappresenta? Forse non è la compagna ideale: non la guida spesso come va più a genio, deve stare sempre al 100 % del proprio potenziale per sopperire alle carenze di una moto che ha comunque compiuto un grande passo in avanti (merito sicuramente di Valentino, ma anche di una Yamaha che finalmente ha cambiato strategia e modo di comprendere le corse), ma senza la M1 non avrebbe scritto un capitolo fondamentale della storia.
Pensare a cosa riporteremo ai nostri eredi nei prossimi anni di questa impresa, ci fa rabbrividire: è impossibile rappresentare le emozioni, i valori e il significato della Moto Gp stagione 2004. Battaglia nella guerra, giocata tra reclami per un titolo che non lo poteva perdere nessuno. Valentino Rossi vince con una moto che nel 2003 ha conquistato un solo podio e il terzo posto nella classifica costruttori, nella Moto Gp più competitiva di sempre. Tutti i più forti piloti al mondo sono qui, non si vive un monopolio Doohan-Honda di qualche anno fa, dove la concorrenza non era sicuramente quella attuale. Rossi ha dovuto battere avversari di levatura straordinaria, dei campionissimi quali Gibernau, Biaggi, Edwards, Barros, Hayden, Capirossi, Bayliss, Tamada, Roberts…23 piloti per un totale di 12 titoli iridati, il più forte schieramento mai visto nella categoria, dove i distacchi tra il primo all’ultimo sono i più risicati di sempre.

Questo regala un ulteriore valore aggiunto al trionfo di Valentino. Otto successi stagionali, quando gli avversari hanno fatto di tutto per metterlo KO. Il fattaccio di Losail, nel recente passato i reclami per sorpassi con bandiere gialle, schieramento di forze da sindrome dell’insuccesso. Non è servito a niente tutto questo, Valentino è campione del mondo, per la sesta volta.
Nessuno, realmente, come lui. I numeri, termine di paragone di un confronto astratto tra le varie “epoche”, parlano di 50 % di vittorie per Valentino Rossi nella massima categoria del motociclismo: numeri da far impallidire chiunque. La forza dei campioni, come Agostini, Schwantz, Rainey, Doohan, è ammettere la forza di chi supera i precedenti record. Valentino ha convinto tutti, come pochi in precedenza, per la sua oggettiva superiorità. Difficile credere, dopo il trionfo odierno del Dottore, che qualcuno possa a breve batterlo. Ci hanno provato in tanti, ci sono anche riusciti, per carità. Sete Gibernau è passato da “mezza schiappa” (come veniva definito in Suzuki) ad antagonista accertato per la conquista dell’iride.

Lo spagnolo, quando è in sella, è davvero un osso duro, come lo è Max Biaggi, che il prossimo anno con la RC211V ufficiale che è stata compagna di Valentino potrà finalmente avere quanto desiderato in tutte queste grandi stagioni nella Moto Gp/500.
Valentino Rossi non si fermerà sugli allori (ci mancherebbe…), e sa che nonostante la realizzazione di questa impresa il 2005 sarà un anno durissimo per sé e per la Yamaha. Ci sarà la riscossa Honda, la rinascita attesa di Ducati, Suzuki e Kawasaki. A 24 anni bisogna anche pensare alle nuove sfide, non solo per favorire la stampa che è così facilmente in grado di riempire pagine di giornali o spazi nei programmi televisivi. Valentino è corteggiato dalla Formula 1, dalla Ferrari che, per la prima volta nella storia (Michael Schumacher a parte), farebbe di tutto per avere un pilota, offrendogli tutto il meglio per correre con loro nel 2006. Tutto il Motomondiale lo vuole, e questo è fin troppo naturale pensarlo, ma anche tutto il Circus della F1. Facile prevedere per Valentino un 2005 di successi ma anche di pensieri su cosa fare nella stagione successiva. Il passaggio di disciplina, dalle due alle quattro ruote, per entrare così nella storia non solo delle Moto ma dei motori da competizione in genere, oppure accettare una nuova sfida, magari con una moto italiana, nella Moto Gp?

Eppure dopo il trionfo odierno di Valentino Rossi, potrebbe pure fermarsi, perché non ha più niente da dimostrare, da far vedere al mondo ma anche a sé stesso. Non ha bisogno di conferme, di rimettersi in gioco: non ce n’è bisogno. Ma non sarebbe Valentino Rossi, non è nel suo DNA e nei suoi ideali. Una continua voglia di salire in sella, di vincere, di assaporare il gusto della coppa, di lavorare con la sua squadra, con chi gli sta accanto con fiducia e sincerità estrema. Il pane di Valentino che lo ha portato al sesto titolo iridato, e alla realizzazione di una impresa davvero senza precedenti. Che onore esserne testimoni.


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