La storia ci insegna.....
Era un piovoso giorno d’aprile del 1972 quando Paul Smart, inglese del Kent, provò per la prima volta il nuovo motore da gara dell’Ingegner Taglioni. Fu un evento memorabile nella storia del motociclismo. Quel giorno non solo guidò una Ducati 750 bicilindrica ma la portò ad una storica vittoria, la 200 Miglia di Imola battendo i piloti più forti e le moto più competitive del momento. In quella stessa gara Bruno Spaggiari sempre in sella ad una Ducati 750 si piazzò al secondo posto. In seguito a questo eclatante risultato sportivo l’Ing. Fabio Taglioni introdusse anche nelle moto di produzione lo stile e le innovative soluzioni tecniche della 750 Imola. Fu l’inizio dell’era moderna del motociclismo sportivo Ducati e l’inizio della dinastia della moto sportive bicilindriche. Quella storica moto fu la capostipite di una serie di moto di produzione: la 750SS, la 900SS vincitrice con Mike Hailwood all’Isola di Man nel 1978, le attuali Supersport e Superbike.
Senza dubbio la 750 Super Sport rappresentava la punta di diamante della produzione Ducati nel 1974 e fu la prima Ducati che coniugò alte prestazioni ad un nuovo e originale design. La moto vantava la presenza di bellissime parti meccaniche, come il motore a coppie coniche “carter tondi” equipaggiato per la prima volta con il sistema Desmodromico brevettato dall’Ingegnere Fabio Taglioni. Lo sviluppo di questo sistema, che ebbe inizio nel 1956 sulle moto Ducati da competizione, continua la sua evoluzione anche al giorno d’oggi. Infatti ogni motore stradale o da gara prodotto da Ducati utilizza ancora questo esclusivo sistema che rappresenta un significativo vantaggio nelle prestazioni delle motociclette di Borgo Panigale rispetto a quelle degli altri costruttori.
La 750 Super Sport presentava un originale assieme di carena/sella/serbatoio nel famoso color verde acqua-argento. Vista da qualsiasi angolazione la moto sembrava sempre in perfetta armonia con se stessa e con ogni tipo di strada. Per quell’epoca rappresentava la moto sportiva per eccellenza.
Leggiamo un intervista a Paul Smart....
Il mio primo incontro con la nuova Ducati
Mi imbarcai sull’aereo già stanco, dopo aver appena corso una gara ad Atlanta, negli Stati Uniti. Decisamente, non mi sorrideva l’idea di affrontare un lungo viaggio fino a Imola per disputare quella gara: era stata mia moglie ad impegnarsi per me, ed io non ero affatto sicuro di volerci andare.
Arrivato in Italia, c’era una sorpresa ad aspettarmi: un macchinone venuto a prendermi all’aeroporto. Sapete, una di quelle auto con le tendine ai finestrini, una macchina da dirigente o cose del genere. Dire che il mio atteggiamento inizialmente fosse ostile è dire poco: ero sicurissimo che il mezzo con cui avrei gareggiato fosse l’ennesima moto superata, messa insieme in qualche modo per la gara.
Dall’aeroporto, venni accompagnato direttamente al circuito di Modena, dove trovai ad aspettarmi una folla di meccanici ed altro personale di pista in tuta blu. Un chiaro segnale che stava succedendo qualcosa di importante. Franco Farné, che all’epoca dirigeva il reparto corse, parlava poco l’inglese, ma grazie al cielo aveva una segretaria sudafricana anglofoba. Parlando con loro, ebbi l’impressione che si stesse preparando qualcosa di grosso.
Andammo direttamente al circuito di prova a Modena, che si trovava proprio in centro città. Il circuito fungeva anche da aeroporto, e c’erano degli aerei parcheggiati a bordo pista. In quello stesso circuito si teneva una prova del Campionato Italiano. La pista era circondata da condomini, e tra case e aerei, era molto facile distrarsi. Ero in Italia da meno di un giorno, eppure all’ora di pranzo mi trovavo già al circuito di Modena, pronto a testare una moto nuova di zecca, sotto gli occhi dell’intera squadra corse e della direzione. La 200 Miglia di Imola era in programma pochi giorni più tardi, il tempo stringeva.
Vidi la moto per la prima volta già in pista. Pensai: "Questa cosa è talmente lunga che non ce la farà mai a curvare …ha perfino una cerniera nel mezzo!". Ci si fanno idee preconcette giudicando una moto dall’aspetto. Ero sceso da poco da una delle moto più maneggevoli del mondo, e questa nuova Ducati mi sembrava un ritorno al passato. Una bicilindrica a quattro tempi?!
Comunque uscii e feci dieci giri. Immediatamente, mi resi conto che la grossa novità era il motore. Evidentemente, Ducati aveva lavorato parecchio, mettendoci tanto impegno. Sembrava girare a basso regime, uno scoppio ogni morte di papa (in realtà, era solo un’impressione) ma era comunque sufficientemente veloce, e il telaio pareva a posto.
Dopo i primi 10 giri, mi sentii di criticare solo gli pneumatici stradali TT100. Io avrei voluto gomme da gara Dunlop, ma i meccanici erano convinti che non avrebbero resistito per tutta la 200 Miglia: io comunque continuai a insistere perché le cambiassero prima di andare a Imola. Facemmo qualche piccola modifica (le pedane, il manubrio, cose del genere) e dopo circa 20 minuti tornai a uscire.
Feci altri dieci giri e poi rientrai nel paddock. Come ho già detto, ero stanchissimo e di malumore, ma quando arrivai al box, pronto a criticare e a fare a pezzi la moto, mi accorsi che era successo qualcosa. Tutti i componenti della squadra saltavano, battevano le mani e mi davano pacche sulle spalle.
Avevo appena battuto il record sul giro del campione del mondo Agostini, e con pneumatici stradali! Tra gli altri c’era l’Ingegnere, Taglioni. Aveva sempre il sorriso sulle labbra, era sempre pronto a parlarti, a fare domande, ad analizzare la situazione. Non dimenticherò mai il suo largo sorriso di quel giorno.
La moto era fresca di produzione, ed era stata creata assemblando pezzi dei nuovi modelli GT appena presentati. La mia sensazione era che un mezzo tanto sperimentale difficilmente sarebbe arrivato al traguardo di una 200 Miglia.
La moto era molto più veloce di quanto mi aspettassi visti i suoi 84 cavalli effettivi, e non perdeva potenza quando si surriscaldava durante la corsa come le altre due tempi che avevo guidato. L’erogazione di potenza era molto morbida e mi consentiva di gestire il gas in maniera più aggressiva. Ero decisamente sorpreso: la nuova Ducati era molto più guidabile e più potente della Triumph con la quale avevo corso l’anno precedente.
Non rimaneva molto da fare, Ducati aveva pensato a tutto. La mia più grande preoccupazione restavano le gomme, ma i tecnici non volevano ascoltarmi. Insistetti per un po’, e poi mi dissi che ci avremmo pensato se fossi arrivato a fine corsa con solo le carcasse.