Ciao a tutti!
Finalmente mi sono decisa a porre qui la mia candidatura per accedere alla razza Mutaforma, ma mi sono accorta che ricopiando il tutto sul Forum questo ha perso l’impaginatura >_< non sono molto abile nel suo utilizzo!
Incrocio le dita quindi!!!
Grazie in anticipo per l’attenzione e buona lettura!
1- Una breve storia iniziale del personaggio; cosa sta facendo, come vive, come si colloca all'interno della società.
{ Nota: Vorrei precisare che il BG è volutamente in forma colloquiale perché rappresenta (nei punti non in corsivo) quello che potrebbe essere il racconto in una taverna, rispecchiando quindi il solo punto di vista di Eyres e come lei ha vissuto quel momento. Per ogni domanda ovviamente sono a disposizione.}
<< Eyres piccola mia, svegliati è ora di andare>>
<<mmh? >> gli occhi si aprono lentamente mentre il mondo prende forma macchiato dai raggi leggeri di una giornata che si appresta a nascere. << ancora cinque minuti mamma>> mugugna con la bocca ancora impastata tirando a sé la pesante coperta di lana oltrepassando il capo.
<<giunge il falco a prender la lince..>> zampettano le dita di sua madre sul suo corpo minuto, le può sentire mentre si insinuano tra le costole dandole solletico.
<< daaaai! Maaaammaaa! >> quasi uno strillo disperato. La madre insiste e quel gioco, iniziato per svegliarla, esordisce il suo effetto << va bene, va bene! Basta! Hai vinto! >> ridacchia mentre le mani tirano via le coperte scoprendo il corpo già pronto per una nuova battuta di caccia.
Mi ha sempre chiamato così mia madre, “la sua Lince”, ed è buffo pensare come questo animale mi stia inseguendo lungo il mio cammino, come se fosse la chiave di lettura di ogni cosa, quel filo conduttore per comprendere chi sono o meglio cosa sono.
Tutto parte in un villaggio lontano dalle grandi città, immersa nel verde delle Colline Ventose. Era una mattina dei primi giorni di primavera, i raggi del sole infiammavano i vetri delle case del villaggio quando all'improvviso, dalle mura di una di queste, esplosero delle grida seguiti da un pianto di una bambina.
La prima volta che mi chiamarono Lince fu quel giorno. Quando sono nata ero una bambina piccola, mia madre mi raccontava che mi teneva nel cesto del pane, ma io ho sempre pensato che mentisse a riguardo. Ad ogni modo, quando sono nata avevo quattro ciuffi biondi in testa e orecchie appuntite cosi grandi rispetto al cranio che a stento si poteva comprendere che in realtà nel mio sangue non c’era purezza.
Fu questa la mia fortuna, almeno per un po'.
Come ogni sangue misto che si rispetti sono nata e cresciuta con gli insegnamenti elfici, tutte quelle belle parole sulla natura, il rispetto per ogni essere vivente e di come bisogna diffidare dagli umani. Sia mai che il sangue possa in un qualche modo venir mischiato.
Io ascoltavo le loro parole e dentro di me, silenziosamente ridevo.
Stolti.
I problemi sono giunti quando il mio corpo ha iniziato a crescere di più rispetto alle mie orecchie e il mio viso ad invecchiare più velocemente rispetto ai miei coetanei. Anche nelle prove fisiche si notava la differenza, differenza che venne messe in risalto nel peggiore dei modi dai miei dolci e teneri compagni di giochi.
Non mi importava all'epoca, ma di tanto in tanto la lince tirava fuori gli artigli e questo non piaceva mai a nessuno.
Incompresa, ecco il titolo perfetto per quel periodo.
Non ho molti ricordi di quell'epoca e quei pochi che rimangono sono scritti nelle pagine di diario di una bambina curiosa e temeraria che spesso si cacciava nei guai e ancor più spesso questi erano creati da lei.
Mia madre mi insegnava tanto, era una donna estremamente intelligente e dal temperamento cosi quieto che penso di non averla mai sentita alzar la voce. Tutti l’adoravano, tutti venivano da lei a chiedere consiglio per un medicamento, per un’erba o semplicemente per parlare. Forse è per questo che nel villaggio si chiudeva un occhio quando la lince selvatica prendeva a pugni qualcuno o quando accidentalmente il coniglio bianco di miss Fil fini arrostito e servito alla padrona per aver rosicchiato le frecce dell’arco sbagliato.
Mentre gli altri studiavano sui tomi le storie e le leggende dell’Aengard io andavo a caccia con mio padre lontano dagli occhi indiscreti. Con lui potevo essere me stessa, con lui potevo togliere la maschera e mostrar al mondo chi ero. Lui sembrava essere l’unico a comprendere, l’unico a capire.
Mi piaceva andare a caccia: l’attenzione che bisogna mettere ad ogni passo, l’attesa quando si trova la propria preda e poi quel momento, quella manciata di secondi, in cui detieni nelle tue mani la vita dell’altro. Mi faceva stare bene, mi faceva sentire forte in un mondo in cui mi sentivo tremendamente fragile.
Forse è per questo che crescendo la caccia è divenuta una costante.
La Morte
In lontananza il suono dei corni è tra le poche cose che ricordo. Non so perché quella sera di luna piena mio padre decise di unirsi alla caccia, non so perché mi costrinse a stare in casa a sistemare le mie cose.
L’unica cosa che so è che quella fu l’ultima volta in cui io vidi mio padre.
Quando i suoi compagni giunsero al nostro capezzale non riuscivo a capire, non li conoscevo e non comprendevo il motivo per cui quattro uomini ed una donna silenziosa si fossero presentati lì prima del sorgere del sole. Avrei dovuto guardare meglio lo sguardo cupo di mia madre, lei li conosceva. Quando li vide sembrava preoccupata e, guardandosi attorno per assicurarsi che nessuno li vedesse, li fece entrare.
Puzzavano di terra e di sangue, i loro visi erano sporchi esattamente come le loro vesti scure tutte uguali. Alcuni avevano dei segni, delle lettere incise sul petto, altri il nero del cuoio indurito. Alcuni si sorreggevano il braccio o un'altra parte del corpo ferita, altri erano semplicemente stanchi; dovevano aver combattuto da poco.
L’uomo, apparentemente più maturo, aprì la bocca e la sua lunga barba rossa si mosse. Lo trovai buffo sul momento, ma il mio sorriso si spense quando mia madre mi allontanò dalla stanza. Sbuffai, mi ribellai ma obbedii. Uscii dalla stanza ma la curiosità prese il sopravvento: tesi le orecchie, mi accostai alla porta chiusa e la verità mi piombò sulle spalle come un macigno insostenibile.
<< è morto >> sentii.
Da quel momento tutto si fa buio.
In seguito mia madre mi disse ciò che già sapevo: << è stato attaccato da un animale feroce, mi dispiace piccola Lince. Vedrai che ce la faremo..>>
Passarono diverse stagioni da quella notizia e tutto piano piano ritornò alla normalità.
Il vecchio ed il nuovo.
Crescendo imparai a controllare il mio carattere irrequieto, a “contare fino a dieci” come mi ripeteva sempre mia madre.
Eppure delle volte sentivo che non bastava.
Tipo quella volta…
Stavo rientrando dalla caccia quando mi accorsi che un fumo scuro giungeva dal campo vicino a casa. Iniziai a correre fino a sentire i polmoni bruciare, fino a sentire il fumo invadermi le narici. Lo spaventapasseri che avevamo fatto io e mia madre con gli abiti vecchi di mio padre stava bruciando.
Sentii le orecchie bruciare, la rabbia crescere dentro al corpo e scorrere nelle mie vene come se fosse una nuova energia, oscura ed allettante. Vidi quei delinquenti. Stavano correndo come cervi nei boschi quando giunge il cacciatore, l’avevo visto un milione di volte e quella non doveva essere diversa dalle altre. Afferrai l’arco, incoccai una freccia e mirai. Non dovevano fuggirmi.
Uno di loro cadde a terra, posso ancora sentire le sue grida unite a quelle di mia madre che implorava di fermarmi. Erano solo bambinate diceva, ma ai bambini ogni tanto serve una lezione ed io ero lì per dargliela.
Lo raggiunsi. Si teneva la gamba e imprecava mentre un rigolo di sangue macchiava le sue braghe e poi la terra. Non ricordo esattamente le parole che mi disse, non che mi importassero in quel momento, la memoria di mio padre era stata infangata, il campo bruciato, lui doveva solo pagare.
Lasciai andare l’arco e mi scagliai contro di lui. Sentivo le mani dolere, le braccia bruciare mentre il suo viso si contorceva dal dolore, gridava, mi colpiva i fianchi ma rimasi su di lui. Rigori di sangue iniziavano a macchiarli il volto uscendo prima dal labbro e poi dal naso che si ruppe con un sonoro crack. Il mio corpo si muoveva come se non fossi io a muoverlo realmente ed un attimo dopo mi avvinghiai al suo collo come se stessi per cadere in un burrone e quella fosse l’unica corda disponibile. Mi sentivo bene, mi sentivo forte esattamente come quando da piccola andavo a caccia con mio padre.
Poi ad un tratto sentii le braccia di mia madre cingermi la vita e tirarmi verso l’alto mi fermai << Ti prego, lascialo andare >> mi disse in lacrime. Rimasi congelata a cavalcioni del malcapitato ancora ringhiante, ancora accecata da quella rabbia che mi avrebbe portato sicuramente ad ammazzarlo se lei non fosse intervenuta. Mi spostai, la spintonai via ringhiando e lei cadde a terra.
Non ricordo cosa le dissi, ricordo però che non sono state belle parole.
Qualche giorno dopo le lasciai un biglietto sul tavolo della cucina accanto ad un mazzo di fiori, i suoi preferiti.
“ Vado verso Nord,
mi dispiace.
Per sempre tua.
La tua Lince ”.
Non la vidi più.
La nuova vita, i nuovi amori.
Non fu facile all'inizio ricominciare. Non è mai facile quando porti un retaggio a metà, quando non sei né umano né elfo in bilico su due mondi che comunque non ti appartengono totalmente.
Mi spostai per diverso tempo da un villaggio all'altro, da una cittadina ad una più grande senza una meta, senza uno scopo se non la pura curiosità.
Stavo cacciando da sola quando incontrai Xart per la prima volta. Era chino su di un fiore con carboncino e taccuino in mano intento a disegnare la pianta con cura mentre la studiava. La conversazione che ne segui mi portò a seguirlo fino al villaggio che, qualche tempo dopo e per un lungo periodo, divenne la mia casa.
<< Mai vista una timida?>> domandai saccente
<< Niente affatto, la conosco bene >> rispose lui con quella calma che ne caratterizzava il fare << Ma ne rimango tutte le volte affascinato >> spiega senza guardarmi negli occhi << è una pianta così forte ed astuta che ha imparato a prender vita all'occorrenza. Splende sempre ma quando vi è una minaccia si ritrae silenziosa resistendo anche alle più forti delle tempeste semplicemente attendendo l’arrivo del sole >> fece una pausa, che io reputai eccessiva. << Sono Xart, del Clan della Lince >>. Sogghignai.
Il Clan della Lince
Non era molto grande il villaggio, ma aveva tutto ciò che mi serviva: una locanda dove poter brindare, un mercato dove poter vendere ciò che cacciavo e amici con cui condividere i pensieri, i sogni e i progetti. Sembrava tutto perfetto. Avevo venticinque anni, amici, una casa, ma soprattutto avevo lui con cui poter condividere tutto questo.
Qui non ero Eyres, qui potevo essere la Lince: quella bambina che giocava in solitaria ai limitari del bosco, quella ragazzina dal carattere un po' irrequieto ed infine quella donna più matura spinta dalla voglia di ricominciare. Qui potevo essere come la Timida e mostrare il mio splendore resistendo alle intemperie.
Lo feci, ricominciai, almeno fino a che il passato non tornò a bussare alla porta.
Lo storpio e la notte di sangue.
Ricordate il giovane del campo? A quanto pare avevo ragione io, avrei dovuto ammazzarlo.
Forse la mia storia sarebbe stata diversa se non avessi ascoltato mia madre, forse ora sarei ancora al fianco di Xart circondata da mocciosi e persone a cui volevo bene. Scelsi di obbedirle e quel giorno segnai il mio destino. Lo lasciai libero, storpio ma vivo e lui mi diede la caccia fino a che non mi trovò. Si faceva chiamare il Lupo.
Arrivò nella notte come giunge una tempesta, sguainò le lame e in pochi secondi fu il caos.
Se ti devo dire cosa successe esattamente quella notte nemmeno io ne ho memoria, solo delle immagini di tanto in tanto prendono vita davanti ai miei occhi.
Stavamo dormendo io e Xart affiancati l’uno all'altra come tante sere prima di quella. All'improvviso sentimmo delle urla, grida di donna, ci siamo alzati veloci, siamo corsi verso la porta ma lui era già li. Era cresciuto in altezza, le sue orecchie appuntite, i suoi lineamenti, i suoi occhi verdi e il naso storto ed appiattito dal nostro ultimo incontro, non mentivano. Lo avrei riconosciuto ovunque <<Vieni qui lince, il lupo ti vuole >>
Xart si mise in mezzo, mi intimò di scappare mentre prese il pugnale. Non è mai stato bravo ad utilizzarlo e questo sia io che lui lo sapevamo. Xart era più un tipo da studi non da lame.
Ancora una volta feci la mia scelta, ancora una volta decisi di obbedire.
Loro iniziarono a combattere, sentivo il rumore delle lame dietro alle mie spalle e poi il suo grido.
Se chiudo gli occhi posso ancora sentire l’odore del sangue che macchia la neve.
Se chiudo gli occhi lo posso ancora vedere mentre viene infilzato dall'uomo che avrei dovuto uccidere molti anni prima.
Se chiudo gli occhi posso ancora sentire le sue grida e i suoi occhi che mi cercano nella notte.
Se chiudo gli occhi ora, il suo sorriso è sfumato.
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Come un segugio arrivò il Lupo dalla Lince, la ripagò con la stessa violenza fisica e carnale che aveva per anni premeditato, lasciandola infine sulla nuda terra con un pugnale a impoverire il non più fertile ventre.
Perse tutto quella notte, ma non la vita.
Del Clan della lince non rimane che una canzone, un canto di vendetta per chi quel giorno non ha trovato l’eterno riposo.
(// qui andrebbe la foto della pagina di diari che ho attualmente nelle note del personaggio. Non è altro che il testo della canzone elemento fondamentale per il capitolo successivo. )
(
www.youtube.com/watch?v=mBF0RnqhOJc)
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Narvick
Diverse sono le cose successe dopo quel giorno poiché Eyres non è morta, questo è vero, ma la Lince sì ed è seppellita accanto ai suoi fratelli. Vagai per molto tempo, senza una meta, senza uno scopo, tormentata da incubi che credevo sarebbero divenuti reali da un momento all’altro.
Poi giunsi a Narvick in un giorno di pioggia come tanti, sfinita, assetata, affamata, privata di ogni cosa se non delle vesti che avevo indosso. Credevo di morire su quella spiaggia, credevo di essere arrivata alla fine del mio racconto, di esserci riuscita.
Tuttavia, ciò che ignoravo, è che quello sarebbe stato solo l’inizio della mia nuova vita.
2- Una concisa ma chiara presentazione del genitore demone che possa donare un'idea della genesi; le ragioni che hanno spinto il demone a concepire.
Per identificare quale fosse la genesi del demone sono dovuta andare a ritroso nel tempo e scavare nel passato. Non so se ho risposto pienamente al quesito o se son andata altre. Nel caso chiedo scusa.
Tutti lo chiamavano Orkaha nel mio villaggio ed è il demone dell’ira e dal sadismo. Orkaha è un demone che ama lasciarsi andare al suo istinto, distruggendo e traendo piacere dalle conseguenze delle sue azioni e nel dolore provocato agli altri, sia fisico che mentale. Nella sua scia di distruzione molti anni prima Orkaha incontrò Naevar, il padre di quella che sarebbe poi divenuta la sua vittima. Naevar cercò di cacciare il demone ma questo troppo forte lo respinse. Non ritenendo la morte una punizione sufficiente per l'affronto subito, Orkaha pianificò la sua vendetta. Attese con impazienza il giorno in cui la figlia dell'uomo fu abbastanza grande, assunse umane formi, fece in modo che la donna si innamorasse di lui e poi le diede un erede. Una bambina. Dopo la nascita Orkaha si rivelò a Naevar raccontandogli l’accaduto e questo fu preso dalla stessa emozione di cui il demone è portatore. Il cacciatore divenne preda. Naevar cercò invano di far comprendere la situazione alla figlia, ma agli occhi di tutti quell'uomo aveva perso la ragione e voleva solo togliere la bambina dalla propria madre, in quanto frutto di un amore impuro. Fu cacciato, costretto alla solitudine e con il rancore e rabbia nel cuore morì anni dopo.
3- Una descrizione di cosa è (per il candidato) un Mutaforma e quali dovrebbero essere i tratti distintivi del suo comportarsi.
I Mutaforma sono il frutto dell’unione tra una creatura umanoide e un demone, il risultato di un piano ben più alto rispetto alla semplice procreazione. Questo fa sì che il loro mondo interiore sia equiparabile ad un funambolo sulla fune: a metà tra due mondi. Tuttavia, in questo perenne squilibrio sono anche la forma più stabile dell’unione tra ciò che è terreno e ciò che non lo è (una stabilità fisica, che li porta quindi geneticamente a sopravvivere, e una stabilità mentale, che invece va guadagnata). Questo è il motivo per cui credo che non ci siano dei veri tratti distintivi, ma che questi dipendano dal singolo Mutaforma , dal demone genitore e da come il burattinaio vorrà farlo reagire. Mi posso aspettare che il personaggio tenda a cedere e voler compensare il suo “lato demoniaco” traendone piacere ( può quindi divenire anche il suo tratto distintivo) oppure, se questo lato molto in contrasto con il suo sé umano, volerne scappare. Credo che sia proprio questa libera scelta e la possibilità di esplorare la parte più introspettiva del PG a rendere questa razza estremamente affascinante. Ovviamente senza nulla togliere alla caratteristica unica di poter mutare in qualcos'altro.
4- Motivo per cui si ritiene il pg proposto adatto a far parte
della razza Mutaforma.
Credo che Eyres sia adatta per accedere a questa razza proprio per il tipo di carattere ambiguo che la caratterizza e che si presta ad essere “giustificato” tramite la genetica. Mi sono sempre immaginata Eyres come un personaggio apparentemente docile, amichevole, sicuramente curioso ed ingenuo, ma che nasconde in sé un lato più oscuro, manipolatorio che attende solo di emergere. Essere mutaforma mi permetterebbe di sfruttare a pieno questo “bipolarismo” aiutandomi a sviluppare ulteriormente il gioco personale in tal senso.
5- Prospettive di sviluppi di gioco in seguito ad un eventuale cambio razza, cosa cambierebbe del suo stato attuale e cosa comporterà per la psiche del Personaggio.
A livello di gioco personale credo che la scoperta del nuovo sé avrà un ruolo centrale. Il gioco attuale di Eyres la vede spesso spinta a guardarsi dentro a capire chi è e questo potrebbe essere reso ancora più divertente da questa nuova situazione. Non mi aspetto che l’eventuale cambio razza vada a modificare di punto in bianco il mio personaggio, non sarebbe né divertente né coerente dal mio punto di vista. Me l’aspetto proprio come una cosa graduale, una scoperta giornaliera e perché no magari anche guidata da altri mutaforma come lei. Mi è sempre piaciuta l’idea di muovere un personaggio con punti saldi ma che si faccia anche influenzare dal gioco altrui e con questo spirito ho mosso Eyres fino ad ora. Accanto all'introspezione psicologica ci sarà sicuramente anche una parte dedicata alla mutazione (quando la scoprirà), talento che potrà far combaciare con il suo attuale ruolo di spia.